Diritto, informatica e dintorni

Avv. Emanuele Florindi - Docente a contratto di Diritto dell'Informatica e di Informatica forense -

2009 – Ingiuria e diffamazione on-line

Ripropongo qui, senza integrazioni o modifiche, un mio articolo pubblicato in «Telediritto.it: Portale giuridico umbro», Informatica giuridica, dottrina, 2009.

Ingiuria e diffamazione on-line*

Sommario: 1. I delitti contro l’onore – 2. Ingiuria e diffamazione attraverso internet – 3. Gruppi di discussione e ingiurie – 4. I gruppi di discussione come l’attività sportiva?

  1. L’ordinamento identifica l’onore con il sentimento del proprio valore sociale, identificato con l’apprezzamento che l’individuo fa delle sue doti, e con la reputazione, vista come il giudizio della collettività in merito ad un determinato individuo anche in relazione alla considerazione in cui detto soggetto è tenuto in pubblico: si tratta di un bene che facilmente può essere leso da un terzo[1].

A tal proposito, il codice penale configura due ipotesi delittuose contro l’onore: l’ingiuria e la diffamazione, ravvisando l’elemento caratteristico dell’ingiuria nella “presenza” della persona offesa.

È di tutta evidenza che il termine “presenza” deve essere inteso in senso lato in quanto, per espressa previsione codicistica, l’ingiuria può avvenire anche attraverso mezzi di comunicazione a distanza e, persino, attraverso l’intervento di un terzo che si faccia portavoce dell’espressione ingiuriosa[2].

In particolare, ai fini che qui interessano, è rilevante l’ultima parte del capoverso dell’articolo 594 laddove si fa espressamente riferimento a “…scritti o disegni diretti alla persona offesa”[3] rendendo palese la configurabilità del reato de quo anche laddove le ingiurie siano contenute in un’e-mail (o in un’immagine digitale) ovvero siano state comunicate durante una chat in tempo reale[4].

In ogni caso, ciò che maggiormente conta per l’ordinamento penale sono i due riflessi oggettivo e soggettivo dell’onore stesso e, più in particolare, il sentimento del proprio valore sociale (riflesso soggettivo), nonché la reputazione di cui un soggetto gode nella comunità (riflesso oggettivo)[5].

Proprio ai concetti di onore e di reputazione è necessario fare riferimento per tracciare una linea distintiva tra i reati di ingiuria e di diffamazione: “nell’ingiuria è offeso prevalentemente il sentimento del proprio onore (l’opinione soggettiva che il soggetto ha del proprio valore, n.d.r.), mentre nella diffamazione è offesa prevalentemente la reputazione (intesa come l’opinione sociale dell’onore di una persona, n.d.r.)”[6]. Sulla stessa lunghezza d’onda la giurisprudenza, che ha inteso l’onore con riferimento alle qualità morali della persona ed il decoro come il complesso di quelle altre qualità e condizioni che ne determinano il valore sociale[7]; in particolare la Corte ha chiaramente affermato che il concetto di decoro si riferisce al rispetto o al riguardo di cui ciascuno, in quanto essere umano, è comunque meritevole facendo espressamente  riferimento all’articolo 2 della Costituzione.

L’ingiuria consiste, essenzialmente, in una aperta ed esplicita manifestazione di disprezzo. Questa si può verificare in modi assai diversi: con la parola, con gli scritti, con disegni ovvero con atti materiali, come gesti sconci, suoni oltraggiosi, sputi, ecc. Particolarmente interessante è l’ipotesi dell’ingiuria attraverso l’impiego di una litote in cui l’agente offende il destinatario attraverso la formulazione di un concetto realizzata mediante la negazione del suo contrario, quando vi è prova della volontà di affermare l’opposto di quanto letteralmente asserito[8].

2, Si tratta, forse, dei reati informatici impropri più diffusi in quanto la telematica rende estremamente facile l’interazione con altre persone ed offre un poderoso strumento per comunicare le proprie idee e le proprie opinioni agli altri, anche laddove queste siano ingiuriose ed oltraggiose; vi è, poi, la sensazione di anonimato, molto spesso falsa, che lo strumento elettronico sembra fornire rispetto a tanti altri mezzi di comunicazione a distanza.

In queste fattispecie il vero problema sorge nella corretta individuazione del rapporto tra le due figure criminose in quanto, soprattutto in internet, accade piuttosto spesso che l’ingiuria avvenga con modalità tali da rendere ipotizzabile anche il reato di diffamazione[9]. La giurisprudenza ha espressamente ritenuto configurabile il concorso tra il reato di ingiuria ed il reato di diffamazione, purché la fattispecie presenti entrambi gli elementi costitutivi tipici delle due distinte norme incriminatrici e, quindi, vi sia stato un invio multiplo di messaggi[10] come, ribadito dalla Corte di Cassazione che, nel confermare una precedente decisione[11], ricordava come“in tema di delitti contro l’onore, quando l’offesa sia arrecata a mezzo di uno scritto e sia indirizzata all’interessato ed a terzi estranei, non può escludersi il concorso tra ingiuria e diffamazione, nel caso in cui la concreta fattispecie comprenda elementi costitutivi delle due distinte norme incriminatici”[12].

Di particolare rilievo, sono tutte quelle offese perpetrate attraverso siti web, news group o mailing list aperte, accessibili da categorie indeterminate di persone e, pertanto, rientranti in quei “mezzi di pubblicità[13] indicati dall’aggravante di cui all’art. 595, 3° comma. Tuttavia, non si può omettere di osservare che la questione non è così semplice come sembrerebbe: è, infatti, possibile che gli insulti vengano portati nel corso di una discussione e, quindi, alla virtuale presenza del destinatario dell’offesa. In questo caso, è ipotizzabile che si configuri soltanto il reato di ingiuria con l’aggravante di cui all’ultimo comma, e cioè l’aver commesso il fatto in “presenza” di più persone.

In relazione all’animus con cui viene posta in essere l’azione è stato osservato che  “in tema di delitti contro l’onore, non è richiesta la presenza di un animus iniuriandi vel diffamandi ma appare sufficiente il dolo generico, che può anche assumere la forma del dolo eventuale, in quanto basta che l’agente, consapevolmente, faccia uso di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive, cioè adoperate in base al significato che esse vengono oggettivamente ad assumere, senza un diretto riferimento alle intenzioni dell’agente”[14].

In varie occasioni è stata riconosciuta al soggetto reo di diffamazione la scriminante dell’esercizio di critica mentre soltanto in presenza di elementi ben definiti, i.e. attività professionale, è stato riconosciuto il diritto di cronaca; a tal proposito, deve farsi riferimento ad una risalente pronuncia del Tribunale di Roma che, sia pure in sede civile, ha affermato “il messaggio contenente considerazioni critiche (quand’anche particolarmente accentuate) nei confronti di taluno non può essere qualificato come servizio del diritto di cronaca giornalistica ai fini della sua eventuale valenza scriminatoria della diffamazione bensì quale manifestazione del diritto di critica espressamente previsto e tutelato costituzionalmente (art. 21 cost.) e, qualora legittimamente esercitato non può essere in alcun modo perseguito, essendo legittima la manifestazione di un dissenso quand’anche aspro e polemico, soprattutto qualora il contenuto del messaggio venga avvalorato, come nel caso che rileva, dall’allegazione o trascrizione di atti e/o documenti che consentano di ritenere veri, o quanto meno putativamente tali, i fatti a cui si fa riferimento nel messaggio postato su newsgroup”[15].

Il diritto di cronaca veniva escluso dal Tribunale in quanto “il messaggio inviato ad un sito telematico di pubblica discussione, da un soggetto nella sua qualità di privato cittadino, non può essere qualificato, ai fini della sua eventuale valenza scriminante della diffamazione, come esercizio del diritto di cronaca giornalistica, non essendo possibile rintracciare i necessari estremi del carattere giornalistico dell’attività svolta e dell’intento lucrativo proprio di ogni attività professionale”[16] mentre il diritto di critica veniva definito come l’espressione di un dissenso motivato, cioè l’affermazione di fatti non apodittica, ma supportata da appigli concreti[17].

  1. Si tratta, di una fattispecie particolare, che, per la sua importanza, merita di essere analizzata con particolare attenzione. Per prima cosa occorre chiarire la particolarissima natura dei gruppi di discussione che, in via esemplificativa, possono essere equiparati ad un pubblica piazza, in cui persone differenti si incontrano e si confrontano, quasi uno Speakers’ Corner virtuale.

I gruppi di discussione sono divisi in gerarchie e, ogni singolo gruppo, è dedicato ad un preciso argomento ed ha proprie, specifiche, regole di comportamento e di condotta contenute in un documento che prende il nome di “Manifesto” del gruppo, ma altre regole possono essere codificate dagli usi e dalle consuetudini adottati dagli utenti all’interno del gruppo stesso[18].

Tali consuetudini possono anche derogare a specifiche norme del manifesto laddove, in assenza di un moderatore, sono gli stessi utenti a gestirsi autonomamente lasciando che sia il biasimo pubblico dell’intero gruppo o di una rilevante parte di esso a sanzionare eventuali violazioni.

La questione è spesso oggetto di ampissimi dibattiti nell’ambito dei gruppi di discussione dedicati al diritto[19] ed alla segnalazione degli abusi della rete[20].

Capita, infatti, piuttosto di frequente che un utente si presenti in uno di questi gruppi, segnalando di aver subito ingiurie o di essere stato diffamato nell’ambito di una certa discussione. Spesso si scopre, però, che questo soggetto frequenta il gruppo in questione da vario tempo e che non ha mai lesinato insulti agli altri utenti, a volte anche pesanti e di stampo razzista. Occorre osservare che, all’interno di molti gruppi commenti salaci, battute e sfottò (anche pesanti) sono sempre stati presenti, spesso in senso ironico e, comunque, hanno ormai perduto gran parte della loro portata offensiva.

A tal proposito si veda la copiosa giurisprudenza della Corte di Cassazione in tema di polemica politica; la Corte ha più volte osservato che “in tema di reati contro l’onore, è da ritenere che il linguaggio della polemica politica può assumere toni più pungenti e incisivi rispetto a quelli comunemente adoperati nei rapporti tra privati, così che espressioni che, in quanto riferite a personali connotazioni intellettuali (quali, ad esempio, buffone, ridicolo o, come nel caso di specie, rimbambito), potrebbero essere ritenute offensive se fossero utilizzate in ambiti diversi, perdono una tale connotazione se utilizzate nell’ambito della polemica tra contrapposte posizioni politiche, caratterizzata dalla naturale vivacità della polemica e dalla particolare coloritura dei toni, sempre dovendosi tener conto che l’uomo pubblico è esposto a forme di critica, anche dure, a causa dell’interesse che le sue azioni suscitano nei cittadini. Ciò ovviamente allorquando risulti che con le espressioni incriminate ci si sia inteso riferire non alla persona in sé, quanto piuttosto al comportamento quale uomo pubblico del destinatario”[21].

A ciò deve aggiungersi che, anche laddove non si volesse considerare l’elemento ambientale, la partecipazione, cosciente e volontaria, di un soggetto ad una pubblica discussione in un gruppo dove è notorio a tutti il livello di polemica verbale raggiungibile, dovrebbe portare alla non punibilità della condotta sulla base del presunto consenso  dell’avente diritto[22].

  1. Non può, infatti, sfuggire che in molti gruppi di discussione si vengono a creare dei veri e propri duelli verbali e che, se pure quasi sempre lo scopo della discussione è risolvere un problema o trovare una risposta, in altri casi l’obiettivo degli utenti è soltanto quello di ingaggiare una battaglia verbale[23], con l’unico fine di sconfiggere il proprio avversario portandolo a perdere il controllo, incapace di replicare in maniera coerente all’avversario[24].

In linea di massima, è possibile stabilire il comportamento comunemente accettato in un determinato gruppo prendendo come riferimento il comportamento tenuto dagli altri utenti al suo interno; il paragone più calzante è, indubbiamente, quello con l’attività sportiva facendo quindi riferimento alla giurisprudenza andatasi a formare in tema di sport distinguendo tra quelli di contatto, quali la boxe o la pratica delle arti marziali, quelli di contatto “eventuale”, per esempio il calcio o la pallacanestro, e quelli privi di contatto, per esempio pallavolo o tennis.

In questo modo, diventa possibile equiparare il gruppo it.discussioni.litigi[25] ad un ring ove si svolge un incontro di pugilato o di lotta libera mentre il gruppo it.diritto può essere visto come un campo ove si svolge un incontro di calcio: mentre nel primo lo scopo è proprio quello di “colpire” l’avversario, in un duello verbale fine a se stesso, in cui spesso non importa nemmeno quale sia l’oggetto del contendere, ma soltanto lo scontro, nell’altro si entra per tentare di discutere e confrontarsi su questioni di dottrina e di giurisprudenza e, quindi, per affrontare una questione oppure per cercare una soluzione, un consiglio o un parere, sia pure con la consapevolezza che questa discussione potrebbe arrivare anche ad avere toni accesi o polemici, ma sempre entro determinati limiti.

La “durezza” degli scontri dipende, quindi, essenzialmente dal gruppo e dallo stile adottato al suo interno e, una volta individuato l’ambito di applicazione, si rende necessario comprendere le modalità con cui possono, o devono, essere fissati i paletti di confine per le varie modalità di “scontro”; in questo modo sarà possibile appurare se un determinato intervento debba essere considerato “gioco duro”, “fallo” o, direttamente, un illecito, penale o civile[26].

A ciò deve aggiungersi che, anche all’interno del medesimo gruppo, la “durezza” di un intervento dovrà essere valutata sulla base dell’argomento e dell’oggetto di una discussione, nella consapevolezza che determinati argomenti possono scaldare ed accendere gli animi ben più di altri[27].

Anche in tale situazione giunge in soccorso la giurisprudenza in materia di falli sportivi e, in particolare, quella relativa al rapporto tra la durezza dell’intervento e l’importanza della competizione; condivisibile appare l’orientamento della Corte Cassazione[28] secondo cui “in tema di lesioni colpose gravi verificatesi nel corso di competizione sportiva, la scriminante del consenso dell’avente diritto presuppone che il “rischio” di subire dette lesioni, sia dal partecipante ad essa, preventivato e, dunque, accettato, sicché detta scriminante non è configurabile allorquando le caratteristiche amichevoli o amatoriali della competizione rendano non prevedibile la verificazione di lesioni superiori, per entità e gravità, a quelle normalmente accettabili in un tale contesto. (Fattispecie di lesioni gravi con effetti permanenti, derivate da un’azione di sgambetto, cagionate durante lo svolgimento di una partita di calcio tra compagni di scuola)”.

In conclusione, risulta evidente che la partecipazione ad un gruppo di discussione comporta l’accettazione del rischio di subire un attacco verbale e di essere fatti oggetto di offese, ma fintanto che queste restano nell’ambito del “rischio consentito” si tratta di fattispecie che non dovrebbero avere alcuna rilevanza penale o civile.

*Emanuele Florindi avvocato, membro del direttivo AISF (Accademia Internazionale di Scienze Forensi); professore a contratto del corso di “Bioetica e Diritto” (Facoltà di Scienze MM.FF.NN.), del corso di “Diritto dell’informatica” (corso di laurea specialistica in Informatica presso la Facoltà di Scienze MM.FF.NN.) e di “Informatica giuridica” (Facoltà di Giurisprudenza) dell’Università degli Studi di Perugia.

[1]In tal senso si veda Trib. Milano, 27/09/2000, in Foro Ambrosiano, 2001, p. 15: “il concetto di reputazione, che è il bene giuridico protetto dalla norma penale in tema di diffamazione, ricomprende sia l’onore in senso oggettivo, inteso come la stima della quale l’individuo gode nella comunità in cui vive e opera, come il patrimonio morale riconosciutogli dai consociati o come il senso della dignità personale nell’opinione di altri; sia l’onere in senso soggettivo, inteso come il sentimento di ciascuno della propria dignità morale e della somma di qualità che ciascuno attribuisce a sé stesso. Tra gli elementi strutturali del concetto di reputazione assume un ruolo di rilievo il decoro professionale, da intendersi come l’immagine che un soggetto ha costruito di sé nel proprio ambiente lavorativo”; Conf. Cass. pen., 03/02/1988 in Riv. Pen., 1988, p. 1185: “poiché ai fini della tutela penale l’onore designa la somma dei valori morali, quali la rettitudine, la probità e la lealtà, mentre il decoro attiene alla dignità fisica, sociale o intellettuale, ne deriva che il bene del decoro può essere offeso non solo da frasi o espressioni direttamente ed immediatamente ingiuriose, ma altresì da espressioni che, per la loro volgarità, colpiscano l’individuo nel sentimento della sua dignità fisica anche se trascendono dalla mera ingiuria”. Si veda anche Cass. pen., Sez. V, 28/02/1995, n. 3247 in Giust. Pen., 1995, II, p. 551 secondo cui “oggetto della tutela penale del delitto di diffamazione è l’interesse dello Stato all’integrità morale della persona: il bene giuridico specifico è dato dalla reputazione dell’uomo, dalla stima diffusa nell’ambiente sociale, dall’opinione che gli altri hanno del suo onore e decoro. Intendendo la previsione legislativa punire l’attacco all’altrui personalità morale, è fondamentale accertare quando l’interesse alla protezione del bene giuridico debba prevalere sulla libertà individuale di espressione del pensiero”.

[2]La Corte di Cassazione ha, per esempio, ritenuto che “Commette il delitto di ingiuria chi formuli l’offesa per mezzo del telefono ad una terza persona, non concorrente nel reato, con incarico di riferirla ai veri destinatari, incarico fedelmente adempiuto; così come commette lo stesso reato chi abbia trasmessa l’offesa a mezzo lettera ad un intermediario perché pervenga al destinatario”. Cass. pen. 17.10.1961, in Giust. Pen., 1962, Sez.II, 458; conf. Cass. pen., 03/10/2006, sez. V, n. 36095.

[3]In tal senso L. Picotti, “Profili penali delle comunicazioni illecite via internet”, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 1999, p. 293 secondo cui “la questione sembra allo stato risolvibile in via di interpretazione evolutiva, non potendosi escludere, dall’ambito dei significati della generale nozione linguistica di “scritti” e “disegni”, i messaggi redatti e comunicati per via informatica o telematica, se costituiti da espressioni linguistiche scritte ovvero da disegni e raffigurazioni del pensiero leggibili dai consociati cui siano diretti”; conforme D. Minotti, “I reati commessi mediante internet”, in Internet nuovi problemi e questioni controverse, a cura di G. Cassano, Milano, Giuffrè, 2001.

[4]In linea di massima l’elemento distintivo fra ingiuria e diffamazione deve essere individuato nella circostanza che, perché possa perfezionarsi il reato di cui all’art. 594, comma 2, c.p., il messaggio deve essere oggettivamente e soggettivamente diretto in primo luogo alla persona fisica determinata, che è soggetto passivo dell’offesa e solo secondariamente, quasi in via accidentale, al resto dei “presenti”; la presenza fisica del soggetto passivo deve essere conosciuta dal soggetto attivo o, quantomeno, essere accettata come probabile (dolo eventuale). Interessante anche Cass. pen., sez. V, 04/02/2002, n. 12160 secondo cui “l’argomentazione in ordine alla specificità degli elementi caratterizzanti i due reati ( presenza o meno della persona offesa), sicché la diffamazione escluderebbe l’ingiuria, viene superata proprio nel caso in cui l’offesa è arrecata a mezzo di uno scritto. L’art. 594 co. 2 c.p. equipara, infatti, la  “presenza” della persona offesa alla “comunicazione” con scritto “diretto” (cioè indirizzato) alla stessa”.

[5]F. Antolisei, Manuale di diritto…, cit., p. 180. In tal senso si veda anche M. Ronco, S. Ardizzone, Codice penale ipertestuale: commentario con banca dati di giurisprudenza e legislazione, UTET, 2007.

[6]F. Antolisei, Manuale di diritto…, cit., p. 191. In tal senso si veda anche M. Ronco, S. Ardizzone, Codice penale ipertestuale: commentario con banca dati di giurisprudenza e legislazione, cit.; sui concetti di onore e reputazione si veda, altresì, Siracusano, Ingiuria e diffamazione, in Digesto pen., VII, Torino, 1993, 33.

[7]In tal senso si veda Cas. Pen., sez. V, 04 luglio 2008, n. 34599, “In tema di ingiuria, la nozione di onore è relativa alle qualità che concorrono a determinare il valore di un determinato individuo, mentre quella di decoro si riferisce al rispetto o al riguardo di cui ciascuno, in quanto essere umano, è comunque degno (in motivazione, la S.C. ha rilevato che le due nozioni vanno unitariamente riferite al concetto di dignità della persona che trova fondamento nell’art. 2 Cost.). Annulla senza rinvio, Trib. Brescia, sez. dist. Salò, 8 giugno 2007”.

[8]Cfr. Tribunale di Varese, 30 giugno 2008 “può ritenersi perfezionata l’offesa all’ onore ed alla reputazione allorché l’autore delle affermazioni si esprima attraverso litote, formulazione attenuata di un concetto realizzata mediante la negazione del suo contrario, quando vi è prova della volontà di affermare l’opposto di quanto “prima facie” letteralmente asserito. (Fattispecie in cui il Tribunale ha ritenuto offensiva l’espressione “un interesse senz’altro non personale o amicale, senz’altro non legato ad eventuali compensi extra o ad agenzie di formazione” posto che la sottolineatura degli avverbi “non”, nonché la lettura complessiva del documento ove l’espressione era contenuta, dimostravano in modo certo l’intenzione dell’autore di riferirsi a interessi personali per ottenere compensi extra e per favorire agenzie di formazione di cui era titolare la persona offesa, con conseguente negazione dell’integrità professionale di quest’ultima e dunque del suo onore e della sua reputazione)”.

[9]Si pensi alle ingiurie inviate ad una persona attraverso un gruppo di discussione, una mailing list o un sito web.

[10]Per esempio attraverso l’invio di un’email alla persona offesa e la pubblicazione della stessa in un sito web o in un forum.

[11]Cass. pen., 07/07/1983, Loy, in Riv. Pen., 1984, p. 441 secondo cui “nell’ipotesi di diffamazione a mezzo di lettera indirizzata a più persone, concorre il reato di ingiuria, qualora la missiva venga inviata anche alla parte offesa”.

[12]Cass. pen., Sez. V, 04/02/2002, n. 12160, in Diritto e Giustizia, 2002, f. 19, p. 75.

[13]In tal senso si veda G. Pomante, Internet…, cit.., p. 99; D. Minotti, I reati commessi mediante…, cit., p. 469; G. Buonomo, Le responsabilità penali…, cit. p. 317. Si veda anche Trib. Oristano, 25 maggio 2000 in Foro it. 2000, II, 663 secondo cui “nell’ipotesi di dichiarazioni diffamatorie contenute in un sito web non si applica né l’art. 13 l. n. 47 del 1948, che punisce la diffamazione a mezzo stampa, né l’art. 30, comma 4 l. n. 223 del 1990, che sanziona la diffamazione commessa tramite trasmissioni radiofoniche e televisive, ma può configurarsi il delitto di diffamazione aggravata, ai sensi dell’art. 595 commi 2 e 3 c.p., consistente nell’attribuzione di fatti determinati mediante “altri mezzi di pubblicità” (nella specie, il reato è stato escluso perché i fatti in questione sono stati ritenuti privi di concreta attitudine diffamatoria nei confronti del querelante)”.

[14]Cass. pen., Sez. V, 11/05/1999, n. 7597, in Dir. Informazione e Informatica, 2000, p. 389. Nella fattispecie, la Corte ha ravvisato gli estremi dell’ingiuria nelle affermazioni di un professore universitario che aveva definito un suo collega come un individuo di scarsa personalità, accusandolo inoltre di aver partecipato ad un raggiro.

[15]Trib. Roma, 04/07/1998, in Arch. Civ., 2000, p. 1252.

[16]Trib. Roma, 04/07/1998, in Nuova Giur. Civ., 1999, I, p. 399.

[17]Del medesimo parere è il Tribunale ambrosiano secondo cui “l’esercizio del diritto di critica scrimina una condotta diffamatoria qualora non siano oltrepassati i limiti della continenza della forma espositiva e sussista la rilevanza sociale dell’argomento. Sotto il primo profilo il rispetto del limite si concretizza nell’uso di espressioni non contumeliose, nella correttezza del linguaggio, nell’assenza di toni denigratori, ma anche nel divieto di sottintesi sapienti e di insinuazioni. Per quanto attiene al secondo aspetto occorre avere riguardo alla rilevanza dell’argomento anche nell’ambiente ristretto di esperti o appassionati. Nel caso di specie, il Giudice ha ritenuto non rispettato il limite della continenza, in quanto erano stati insinuati a carico di alcuni Commissari di una competizione sportiva comportamenti disonesti, “meritevoli dell’intervento delle forze dell’ordine”.” Trib. Milano, Sez. VI, 15/04/2002 come massimato in Foro Ambrosiano, 2002, p. 322, ma si veda anche Cass. pen., Sez. V, 22/02/2002, n. 15174, in Riv. Pen., 2002, p. 693 secondo cui “i limiti espressivi entro i quali il diritto di critica deve essere esercitato, non possono essere tanto stretti da pregiudicare il concreto esercizio del diritto stesso. L’uso di un termine intrinsecamente comparativo, non può essere, in sé, considerato esorbitante dai suddetti limiti, in quanto la comparazione e il raffronto sono strumenti irrinunciabili proprio per l’articolazione della critica”.

[18]Possiamo affermare che i rapporti tra i singoli utenti di un gruppo vengono gestiti in base ad un gentlemen’s agreement destinato a regolare i loro rapporti al di fuori delle griglie del diritto, lasciando che sia il pubblico biasimo a sanzionare i comportamenti scorretti e non conformi a quella raccolta di convenzioni nota sotto il nome di “netiquette”.

[19]Si tratta dei gruppi it.diritto (di seguito ID) e it.diritto.internet (di seguito IDI).

[20]Si tratta del gruppo  it.news.net-abuse, di seguito INNA.

[21]Cass. Pen., sez. V, 09 luglio 2008, n. 38747 “Da queste premesse, la Corte ha annullato senza rinvio, ritenendo applicabile la scriminante della critica  politica ex art. 51 c.p., la sentenza che aveva invece ravvisato gli estremi dell’offensività – pur in presenza della intervenuta prescrizione del reato di ingiuria – nella condotta dell’imputato, il quale, nella qualità di sindaco di un Comune, durante una riunione del Consiglio comunale, aveva stigmatizzato un’iniziativa di un rappresentante di un partito dell’opposizione profferendo nei suoi confronti la frase …ho dimenticato per un attimo che lei è il solito rimbambito…”. In tal senso si veda anche Cass. Pen., sez. V, 18 dicembre 2007, n. 13880 “In tema di tutela penale dell’onore, al fine di apprezzare l’eventuale rilevanza penale delle espressioni obiettivamente lesive dell’altrui onore o decoro, occorre “contestualizzarle”, ossia valutarle in rapporto al contesto spazio-temporale nel quale sono state profferite. Ne consegue che è possibile applicare la scriminante del diritto di critica, allorché si tratti di espressioni costituenti la manifestazione di una critica politica (come nella specie, in cui queste erano risultate profferite nel corso di un dibattito nell’aula di un consiglio comunale, nell’ambito di un’accesa polemica riguardante l’approvazione del piano di lottizzazione), di guisa che il loro significato finisce con il trascendere l’ambito individuale o la sfera personale delle persone offese, esprimendo piuttosto una valutazione prettamente politica”.

[22]A tale proposito si veda quanto affermato da Cass.Pen., Sezione V, n. 37105 del 23 settembre 2009. La Corte ribadisce come “nel valutare la portata offensiva di un’espressione verbale occorre avere riguardo al contesto nel quale essa è inserita (vedansi ex multis Cass. 14 febbraio 2008 n. 11632; Cass. 15 novembre 2007 n. 10420; Cass. 5 marzo 2004 n. 17664). A tale principio si è correttamente attenuto il giudice di merito, il quale infatti si è interrogato sulla valenza lesiva della frase pronunciata dal (…) e indirizzata al (…) pervenendo a un giudizio negativo in considerazione del fatto che il dialogo si era svolto nel corso di un programma televisivo la cui caratteristica era quella di sollecitare il contrasto verbale tra i partecipanti, secondo uno schema oggi abusato, ma anche a quell’epoca non poteva sfuggire ai soggetti direttamente coinvolti. […] La conclusione, così raggiunta, oltre che sorretta da motivazione logicamente ineccepibile, è pienamente conforme ai principi giuridici che regolano la materia, valorizzando la necessità di “contestualizzare” l’espressione usata, e cioè rapportarla al contesto spazio-temporale nel quale è stata pronunciata”.

[23]Tali scontri prendono il nome di “flame”.

[24]In tal caso, si dice che il soggetto ha “sbroccato”, “rosica” o che ha iniziato a “trottare”.

[25]Il gruppo it.discussioni.litigi è stato creato come un luogo virtuale ove portare avanti scontri verbali e “flame”: si tratta di un ring virtuale dove tutto, o quasi, è lecito; chi scende in campo sa che non potrà aspettarsi limiti agli attacchi verbali dell’altro ed il primo che “sbrocca” ed inizia a “trottare” ha perduto. E’ opportuno osservare che dei limiti all’insulto esistono anche in questo gruppo, sebbene non sempre vengano rispettati. Non sono, infatti, ammessi proclami razzisti o religiosi, bestemmie e quelli che vengono ritenuti “insulti gravi”.

[26]In tal senso si veda Cass. Pen., sez. V, 09 luglio 2007, n. 36079 “In tema di lesioni personali cagionate a un avversario durante una competizione sportiva , ricorrono gli estremi del reato di lesioni volontarie allorquando si accerti che l’azione violenta sia stata realizzata in modo del tutto gratuito e non funzionalmente all’azione di gioco, sì da trasmodare dall’area del rischio consentito che circoscrive l’applicabilità nella subiecta materia della scriminante del consenso dell’avente diritto: ciò che si verifica, ad esempio, quando la violenza venga esercitata dal giocatore a gioco fermo (nella fattispecie, la Corte ha rigettato il ricorso avverso la sentenza di condanna che aveva ravvisato il reato di lesioni volontarie a carico di un giocatore che, durante una partita di calcio, aveva colpito con un pugno alla schiena un avversario, procurandogli la rottura di una costola, sul rilievo che tale condotta, anche in assenza di dimostrazione in ordine alla circostanza dell’essere stata commessa a gioco fermo, era stata comunque realizzata in modo del tutto gratuito, essendo impossibile collocarla in un disegno strategico volto alla realizzazione di un obiettivo sportivo )”, in senso conforme si veda Trib. di Arezzo, 28 giugno 2007 “in tema di lesioni cagionate nel contesto di un’attività sportiva, non è applicabile la scriminante dell’attività sportiva e si verte in un’ipotesi di superamento del rischio consentito quando l’agente realizza l’evento lesivo mediante una violazione delle regole del gioco tali da superare i limiti della lealtà sportiva (nella fattispecie un giocatore di calcio, senza scegliere il tempo dell’anticipo e coordinare il proprio sconnesso intervento in relazione alla dinamica del gioco e della posizione assunta dall’avversario, è rovinato addosso ad un altro giocatore provocandogli lesioni alle costole)” e Cass. Pen., sez. V, 21 settembre 2005, n. 45210 “in tema di lesioni personali cagionate durante una competizione sportiva, non sussistono i presupposti di applicabilità della causa di giustificazione del consenso dell’avente diritto con riferimento al cosiddetto rischio consentito (art. 50 c.p.), né ricorrono quelli di una causa di giustificazione non codificata ma immanente nell’ordinamento, in considerazione dell’interesse primario che l’ordinamento statuale riconnette alla pratica dello sport , nell’ipotesi in cui, durante una partita di calcio ma a gioco fermo, un calciatore colpisca l’avversario – che aveva realizzato una rete – con una gomitata al naso, in quanto imprescindibile presupposto della non punibilità della condotta riferibile ad attività agonistiche è che essa non travalichi il dovere di lealtà sportiva , il quale richiede il rispetto delle norme che regolamentano le singole discipline, di guisa che gli atleti non siano esposti ad un rischio superiore a quello consentito da quella determinata pratica ed accettato dal partecipante medio; ne deriva che la condotta lesiva esente da sanzione penale deve essere, anzitutto, finalisticamente inserita nel contesto dell’attività sportiva, mentre ricorre, come nella fattispecie, l’ipotesi di lesioni volontarie punibili nel caso in cui la gara sia soltanto l’occasione dell’azione violenta mirata alla persona dell’antagonista”, Cass. Pen., sez. V, 20 gennaio 2005, n. 19473 “Posto che il c.d. illecito sportivo ricomprende tutti quei comportamenti che, pur sostanziando infrazioni delle regole che governano lo svolgimento di una certa disciplina agonistica, non sono penalmente perseguibili, neppure quando risultano pregiudizievoli per l’integrità fisica di un giocatore avversario, in quanto non superano la soglia del rischio consentito, integra il reato di lesioni personali colpose e non quello di lesioni personali volontarie la condotta del calciatore il quale, anticipato dal portiere avversario che era riuscito a respingere il pallone proveniente da calcio d’angolo, colpiva quest’ultimo con una gomitata all’addome, cagionandogli la perdita dell’uso della milza” e Cass. Pen., sez. V, 20 gennaio 2005, n. 19473 “in tema di lesioni personali cagionate durante una competizione sportiva che implichi l’uso della forza fisica e il contrasto anche duro tra avversari, l’area del rischio consentito è delimitata dal rispetto delle regole tecniche del gioco, la violazione delle quali, peraltro, va valutata in concreto, con riferimento all’elemento psicologico dell’agente il cui comportamento può essere – pur nel travalicamento di quelle regole – la colposa, involontaria evoluzione dell’azione fisica legittimamente esplicata o, al contrario, la consapevole e dolosa intenzione di ledere l’avversario approfittando della circostanza del gioco”.

[27]Si pensi, ad esempio, ad una discussione sulla legge 194 del 1978,  Norme PER LA TUTELA SOCIALE DELLA MATERNITà E SULL’INTERRUZIONE VOLONTARIA DELLA GRAVIDANZA, oppure sulla pena di morte, sicuramente maggiormente a rischio di polemiche rispetto ad una sull’abigeato.

[28]Cass. Pen.,  sez. V, 04 luglio 2008, n. 44306 (Rigetta, App. Roma, 19 Ottobre 2007). Conf. Cass. Pen., sez. IV, 25 settembre 2003, n.39204 “in tema di lesioni cagionate nel contesto di un’attività sportiva non opera la scriminante di cui agli art. 50 e 51 c.p. e si verte, invece in una ipotesi di superamento del c.d. “rischio consentito” ogni qualvolta l’agente realizzi l’evento lesivo mediante una violazione volontaria delle regole di gioco, tali da superare appunto i limiti della lealtà sportiva. (Fattispecie in cui, in una partita di calcio, l’imputato poneva in essere un intervento a gamba tesa colpendo un ragazzo coetaneo e cagionandogli lesioni guaribili in 40 giorni)”.

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