Diritto, informatica e dintorni

Avv. Emanuele Florindi - Docente a contratto di Diritto dell'Informatica e di Informatica forense -

2003 – Internet e pedofilia: luci ed ombre della legge 269 del 1998

Ripropongo qui, senza integrazioni o modifiche, un mio articolo pubblicato in «Rassegna Giuridica Umbra», 2\2003, 853s.

 

Sommario: 1. Premessa ―2. Cenni di criminologia ―3. Pedofilia e telematica ―4. segue: le comunità ―5. segue: la «cultura» pedofilia ―6. Due «luoghi comuni» in materia di pedofilia: analisi e critica ―7. Legge 269 e problemi di interpretazione: «chiunque sfrutta…» ―8. segue: «…materiale pornografico…» ―9. «Divulgazione» o «cessione»?―10. La detenzione ―11. Osservazioni conclusive

  1. Prima di procedere oltre, è doveroso sottolineare che con il termine «pedofilia»[1] si è spesso indicato un insieme estremamente variegato di reati contro l’infanzia che, però, si rende necessario scindere ed analizzare nel dettaglio.

Per tale ragione ci si limiterà qui all’analisi del fenomeno «pedopornografia on-line» e, più precisamente, delle implicazioni giuridiche legate all’introduzione della legge 269 del 1998[2].

In relazione ai soggetti è opportuno osservare che l’universo dei pedofili non è una massa granitica e comune, come a volte si è tentati di immaginare, ma rappresenta piuttosto lo specchio costante e fedele della nostra società[3].

Non esiste dunque il «pedofilo», ma varie tipologie di pedofili, tutti con le proprie caratteristiche, le proprie abitudini ed il proprio modo di soddisfare le rispettive pulsioni[4].

Accanto ai pedofili vi sono, poi, quei soggetti che sfruttano sessualmente i bambini senza essere pedofili; si tratta spesso di soggetti coinvolti nella realizzazione del materiale destinato al circuito della pedo pornografia (fotografi, registi, tecnici dei siti web e simili) che vengono attratti dai lauti guadagni che la pedofilia è in grado di garantire.

  1. Tutti questi soggetti possono operare sia nella vita reale che nella rete, muovendosi in Internet esattamente come qualsiasi altro individuo, creando gruppi di incontro ed avvalendosi della tecnologia per raggiungere i propri fini con la minima esposizione personale[5].

Per tale ragione è necessario procedere tracciando, sia pure in maniera sommaria, le varie classi di appartenenza di questi soggetti, pur nella consapevolezza che i confini di ogni classe, spesso sono sfumati e che l’appartenenza ad una classe non esclude necessariamente l’appartenenza ad un’altra.

Si tratta prevalentemente di soggetti che agiscono cercando e contattando le proprie vittime secondo i metodi e le modalità studiati dalla moderna criminologia[6] e le vittime vengono generalmente scelte tra i figli (propri, di parenti, di vicini di casa o di amici) o, comunque, tra i bambini che si ha modo di frequentare per lavoro o altre attività (insegnanti, educatori, sacerdoti, allenatori e simili). Questi soggetti agiscono in genere su bambini soli o isolati, su cui hanno un forte ascendente e raramente ricorrono alla forza o alla brutalità per ottenere ciò che desiderano preferendo circuire e soggiogare psicologicamente le vittime. Più raro il caso dei soggetti che rapiscono, seviziano ed uccidono vittime casuali.

Accanto a tali soggetti si stanno, però, diffondendo altre categorie di criminali, se possibile, ancora più pericolose, che sfruttano i bambini per fini economici e che sono più strettamente legate ad internet come strumento per la diffusione del proprio «materiale».

La diffusione delle reti telematiche ha, infatti, fornito a questi soggetti un ottimo strumento per acquistare o vendere il materiale pedo pornografico senza alcun limite geografico.

La Rete, comunque, rappresenta per detti soggetti soltanto un’estensione della vita reale ed esclusivamente un mezzo per soddisfare il loro desiderio di accaparrare il materiale attraverso i vari strumenti che la tecnologia offre[7].

È in importante evidenziare come l’utilizzo principale della telematica[8] sia in relazione allo scambio\acquisto\vendita di materiale pedopornografico, piuttosto che alla ricerca di un contatto vero e proprio con bambini da adescare[9].

Non può tuttavia omettersi che tale ipotesi di reato, pur se infrequente, non è affatto impossibile in quanto si sono, comunque, verificati alcuni casi in cui vi è stato un tentativo di contatto ovvero molestie prevalentemente attraverso sistemi di chat[10].

Esattamente come nella vita reale i crimini contro i bambini che avvengono in internet si ripartiscono tra quelli commessi dai consumatori, che alimentano il mercato della pornografia acquistando il materiale, e quelli commessi dai produttori con questi ultimi che molto spesso sono legati alla criminalità organizzata, attirata dai fortissimi guadagni che un simile mercato permette.

  1. Nelle autostrade telematiche il fenomeno della pedofilia si muove lungo corsie che spesso si incrociano: una prima composta da un sottobosco di soggetti che vendono, più spesso scambiano, materiale pedopornografico ottenuto con i più svariati sistemi, raramente autoprodotto, attraverso il sistema delle chat in tempo reale o del cd file sharing, mentre una seconda è rappresentata dal web del pedo porno.

Si tratta di siti internet realizzati da soggetti che ben possono essere definiti «professionisti» della pornografia infantile: webmaster, che realizzano e gestiscono, siti a pagamento destinati ad un pubblico sempre più spesso disposto a pagare profumatamente per acquistare il diritto di accedere a materiale sempre nuovo e sempre differente.

Il fenomeno della «pedofilia on-line» risente, comunque, della rapidissima evoluzione, per dimensioni, accessi, contenuti e tecnologie, della realtà rappresentata da Internet: con essa non solo emerge e si manifesta in ogni suo aspetto, ma si sviluppa e si articola in forme sempre nuove e più complesse, generando conseguentemente un’esigenza almeno di pari intensità sul fronte del monitoraggio e degli interventi[11].

Peraltro, proprio la diffusione di Internet a livello mondiale e le possibilità di comunicazione multimediale che ciò offre ad un pubblico di utenti sempre più vasto, ha indotto l’emersione del fenomeno pedofilo dapprima limitata e strisciante nelle parti maggiormente underground della rete ed oggi molto più vasta ed aggressiva sul fronte sia del pedo business, sia dei cosiddetti siti «pedo-free», con una sempre maggiore presenza delle attività di promozione, scambio di informazioni, contatti, diffusione della «pedo-cultura»[12] e nell’uso di supporti tecnologici per la migliore protezione dell’anonimato delle attività illecite[13].

In particolare, il pedo hard business[14] si è sviluppato ed ha affinato le proprie modalità di azione in maniera molto più che proporzionale rispetto al già elevatissimo tasso di incremento complessivo del fenomeno della pedofilia online; questo significa che si è ingigantito il terribile e tristissimo meccanismo economico di produzione-offerta-consumo, laddove l’esigenza di arricchire i contenuti dei siti a pagamento, e battere la concorrenza, alimenta in misura sempre maggiore il circuito perverso e criminale della domanda di nuovi materiali e della loro produzione[15].

Oggi, il passo del pedo hard business verso una reale struttura industriale dell’orrore è purtroppo compiuto: i clienti aumentano e l’offerta si adegua, ma, nel mercato atipico del pedo business, i prezzi comunque salgono e le opportunità di profitto hanno da tempo attratto l’attenzione e l’interesse dei professionisti del crimine.

Basti pensare che, su 8.717 siti segnalati dal Telefono Arcobaleno nel primo semestre del 2003, ben 7.247[16] rientravano nella categoria del «pedo business» mentre «solo» 1.036 erano siti personali realizzati da semplici collezionisti senza finalità commerciali.

I restanti 434 siti erano gruppi e comunità di pedofili che si scambiavano materiale on-line.

È stato agevole per i criminali comprendere che ogni partita di «merce» nuova induce un picco di domanda e non può sfuggire che il circuito perverso del meccanismo criminale si chiude con la ricerca sistematica di nuovo «materiale», di nuove produzioni[17].

L’aspetto atroce, che tuttavia a volte sembra stranamente essere ignorato da coloro che minimizzano la pedo pornografia on-line, è che la «merce virtuale» disponibile nei siti è composta da bambini reali e che ad ogni nuova produzione, ad ogni nuova «serie» corrisponde una vita distrutta per sempre, se non peggio[18].

Proprio in relazione a questo triste fenomeno è stato affermato da autorevolissime fonti[19] che la pedofilia on line «deve rappresentare il primo obiettivo di ogni campagna a tutela dell’infanzia in quanto, come meglio si vedrà in seguito, proprio la pedofilia on line rappresenta il volano dello sfruttamento criminale dell’infanzia»[20].

Ancora più drammatico è il fatto che questa «merce» venga pubblicizzata, promozionata, proposta e venduta utilizzando tutte le forme più evolute di marketing e di vendita come se si trattasse di un qualsiasi bene di consumo.

Non deve, infine, trascurarsi che tale «materiale» sia quotidianamente acquistato da centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo, fra le quali migliaia di italiani[21].

Proprio con riguardo all’aspetto del pedo hard business (che rappresenta la punta di diamante del fenomeno della pedofilia online), esiste a tutt’oggi un larghissimo e per certi versi drammatico «debito di intervento», per colmare il quale si sono spesso rivelate insufficienti le azioni poste in essere a livello nazionale e sopranazionale.

Ciò soprattutto a motivo dell’erroneo convincimento che possa esistere ed essere sufficiente una qualche «ricetta legislativa» o le azioni per quanto ripetute, ma sempre sporadiche contro questo o quel sito pedo hard o contro qualche cliente.

Purtroppo la ricerca di una «soluzione delle soluzioni» o la mera delega legislativa alle autorità di polizia, si sono rivelate «strade morte» e non poteva essere diversamente: la risposta al dilagare del fenomeno pedofilo implica necessariamente più attori (istituzioni, polizia, volontariato) con un insieme di interventi e di strumenti diversi che consenta di ridurre al minimo il «debito di intervento» e di contrastare realmente ed efficacemente le crescita e la diffusione del commercio pedo-pornografico.

  1. Il fenomeno della pedofilia in internet è, dunque, estremamente complesso; esso difficilmente può essere raccontato, illustrato, descritto, analizzato se non lo si è preliminarmente «vissuto».

In primo luogo deve osservarsi che la presenza pedofila nella grande rete, contrariamente a ciò che comunemente si potrebbe pensare, non è quasi mai appiattita sulla figura del maniaco-criminale isolato, ma si fonda sulla creazione di una vera e propria comunità allargata e molto ben stratificata; la comunità mondiale è poi composta da molte altre comunità (sovranazionali, nazionali e locali) strettamente collegate tra di loro e attivamente organizzate[22].

Navigando in internet è, infatti, possibile trovare la comunità europea, quella statunitense, quella giapponese, quella polacca, quella australiana, quella russa ed anche quella italiana…

A loro volta queste comunità possono essere divise in altre comunità più piccole che tendono a raccogliersi stabilmente intorno a luoghi virtuali che ne agevolano le attività, communities, club, BBS specializzate, chat tematiche etc, «ognuna con proprie regole, acronimi, linguaggi, vezzi… e pessime abitudini!»[23].

  1. Non si deve, però, cadere nell’errore, invero piuttosto comune, di ritenere tali comunità mere «bacheche virtuali» in cui scambiare o acquistare materiale nuovo, in quanto rappresentano spesso anche luoghi di incontro, di informazione e di consiglio[24].

In realtà si tratta di vere e proprie fucine che producono «cultura pedofila» e dove si rivendica il diritto naturale del pedofilo di vivere nella libertà la propria sessualità e di avere normali relazioni con i bambini basando tale pretesa su basi psicologiche, morali e storiche[25].

Tale campagna di opinione non può e non deve essere ignorata, stante la facilità con cui è possibile insinuare nei navigatori, e non soltanto in quelli più ingenui, il dubbio che quella dei pedofili sia una categoria «discriminata» ingiustamente, sottoposta a vessazioni solo in ragione del proprio orientamento sessuale, ed in cui ad ogni operazione della polizia sorgono nuovi «martiri» ingiustamente arrestati e condannati[26].

Deve ritenersi estremamente probabile che, in caso di proposte legislative volte a contrastare il fenomeno della pedofilia, proprio da tale gruppi di pressione si solleveranno questioni di legittimità costituzionale e si griderà alla censura cercando di sollevare un polverone tale da accecare i cittadini facendo perdere loro di vista l’unico obiettivo di tali modifiche o riforme: la tutela dell’infanzia[27].

Sono numerose, infine, le comunità in cui è possibile trovare una grande quantità di materiale di «supporto»: messaggi interessanti, indirizzi segreti, nuovi siti a pagamento, o password per i siti a pagamento «classici»; non mancano poi notizie relative ad arresti oppure all’evoluzione legislativa con i suggerimenti per possibili scappatoie, trucchi per navigare in maniera anonima e sicura, per pulire a fondo il proprio hard disk senza lasciare tracce etc.

In effetti, uno dei maggiori errori in relazione alla pedofilia è quello di credere all’immagine stereotipata del pedofilo telematico solo ed isolato; in realtà questi non è mai solo, a meno che non sia lui a volerlo[28].

In questi gruppi è possibile trovare le figure di punta, rappresentate dagli ideologi, dai tecnici, dai commercianti, dagli avvocati, dagli esperti informatici, dai fotografi, dagli industriali e la massa: i pervertiti e gli pseudo-normali.

Quest’ultima categoria, che merita una particolare attenzione, è composta dai benpensanti, dagli acculturati, dagli snob, dagli «amanti» o dai «cultori» della bellezza infantile che, sotto una maschera di arte, amore, dolcezza bramano un contatto, che teorizza (e pratica!) una piena espressione della «sessualità» infantile, che guardano i bimbi e le bimbe con occhi «diversi», che in modo «diverso» esprimono pensieri, intenzioni, tentazioni che definire inquietanti è sicuramente un eccesso di eufemismo.

Si tratta di persone che, comunque, frequentano stabilmente le comunità pedofile e che, nella rete, spesso dichiarano la propria pedofilia pubblicando siti inneggianti al culto della bellezza con foto di bambini, magari anche non nudi, ma è sufficiente uno sguardo meno fuggevole per rivelare come in quello stesso sito siano presenti collegamenti ad altri siti dove la natura pedofica dei contenuti è esplicita[29].

E questo rappresenta lo «strato» «normale» della grande comunità, poi ci sono i pervertiti[30]!

Può essere difficile immaginare una parte perversa della perversione pedofila, ma ci sono, in grandissimo numero, molto «rumorosi», molto presenti e, talora, tanto scatenati da suscitare le rimostranze degli pseudo-normali!

  1. In conclusione, è necessario affrontare, e smentire, due pericolosissimi luoghi comuni sulla pedofilia[31].

Il primo, secondo cui il pedofilo telematico non sarebbe un vero pedofilo, ma un semplice « voyeur» e nella maggior parte dei casi, forse, non sarebbe nemmeno un pedofilo.

In altre parole, si tratterebbe di pedofili meno pericolosi dei pedofili «reali», che abitano e vivono nel mondo «vero», quasi a configurare una categoria di pedofili platonici.

Una variante di questo diffuso luogo comune è che la maggior parte dei soggetti che vengono arrestati nel corso delle varie operazioni di contrasto alla pedofilia siano frequentatori casuali, smanettoni malcapitati, semplici curiosi o al più, perversi generici alla ricerca di emozioni forti.

Quasi ad immaginare, nella peggiore delle ipotesi, un tipo di «pedofilo non pedofilo» ovvero una persona normale o quasi normale che per gusto di trasgressione cerca e trova nei siti pedofili e nelle altre occasioni pedofile offerte dalla grande rete una risorsa per soddisfare il proprio bisogno di esperienze estreme.

Il secondo luogo comune è quello secondo cui le immagini e i video pedofili che si trovano in internet sono nella maggior parte dei falsi ed i materiali veri sono rarissimi e girano in modo segretissimo solo tra i veri, e altrettanto pochi, pedofili che usano internet.

Questo secondo, diffusissimo, luogo comune si manifesta costantemente in un atteggiamento di incredulo stupore, quando non si raggiungono punte di aperta ostilità, di fronte alle fonti che indicano la reale quantità e varietà del materiale pedofilo in circolazione, laddove l’incredulità è spesso tale raggiungere un’ottusità che porta a negare l’evidenza, anche di fronte a prove concrete[32].

Non ci vuole molto a comprendere che all’origine di questi luoghi comuni ci siano meccanismi fortissimi, per quanto infondati e «svianti», di negazione del fenomeno o comunque di riduzione dello stesso a proporzioni in qualche misura umanamente e socialmente tollerabili.

I due più diffusi luoghi comuni sulla pedofilia in internet hanno, quindi, un significato comune e preciso, dal quale non può prescindere qualsiasi iniziativa di contrasto al fenomeno e sul quale, in tutta evidenza, è indispensabile operare una riflessione attenta.

Entrambi corrispondono ad un atteggiamento mentale tendente alla rimozione del problema[33]; atteggiamento tipico, d’altronde, delle persone normali, a fronte di un’abiezione troppo grande per essere accettata ed apertamente incoraggiato dalle stesse organizzazioni pedofile che hanno tutto l’interesse a minimizzare il più possibile il fenomeno al fine di far apparire i propri aderenti come dei «perseguitati».

Ovviamente, nulla di tutto questo è vero: il pedofilo on line prima di essere on line è un pedofilo e, purtroppo, non si tratta soltanto un gioco di parole.

Dare credito alla tesi del pedofilo on line come pedofilo innocuo, voyeur, del tutto immateriale sarebbe come affermare che i fruitori dei materiali sessuali per adulti in internet non hanno una vita sessuale reale: si tratta di un’affermazione insostenibile!

Anche l’estensione del primo luogo comune è tristemente falsa. I dati sulla frequenza assidua – spesso pluri-quotidiana – di molte migliaia di persone (si intende italiani, altrimenti bisognerebbe parlare di centinaia di migliaia) nei siti che offrono materiali pedo-pornografici a pagamento, ognuna delle quali scarica centinaia di foto e filmati di questo tipo, non si concilia affatto con l’idea del semplice curioso e nemmeno con quella del soggetto trasgressivo o perverso che cerca di superare, in maniera virtuale, i limiti del lecito e del normale[34].

Diversamente si concilia benissimo con l’idea del pedofilo, a cui la tecnologia ha finalmente consentito di accedere a materiali un tempo di difficilissimo reperimento e di un pedofilo che dimostra in pieno la natura compulsiva ed ossessiva della propria devianza sessuale, ovvero di un pedofilo del tutto classico, a cui internet ha solo reso solo più facile l’esercizio della propria pulsione[35].

Il tutto senza considerare le vie alternative di diffusione e di scambio dei materiali pedo-pornografici o delle informazioni relative al loro reperimento rappresentate dal peer to peer, dagli strumenti di comunicazione personale e di chatting, dai news-groups, dalle bbs e da ogni altro mezzo che la grande rete mette a disposizione[36].

Il numero di pedofili che accedono sistematicamente alle risorse loro offerte da internet, da un lato, e la quantità/qualità dei materiali pedo-pornografici in circolazione sono oggi oggettivamente in crescita, con un tasso di sviluppo purtroppo notevolmente superiore a quello di internet e dei suoi contenuti.

Questo dato, concretamente riscontrabile da ognuno e quotidianamente riscontrato (e provato) da Telefono Arcobaleno, contraddice ampiamente, se mai ce ne fosse bisogno, l’idea di un fenomeno limitato, in regressione e comunque in qualche modo sotto controllo, ma ci dà il polso di una situazione esattamente opposta.

La pedofilia on line ha avuto, tuttavia, l’innegabile merito di aver contribuito all’emersione e di aver posto in piena evidenza l’ampiezza del fenomeno pedofilo.

Da ultimo una riflessione; «il fenomeno della pedofilia, attraverso la cultura pedofila e internet, sta assumendo forme collettive, si autogiustifica, rivendicando il diritto alla sessualità dei bambini, alimenta la produzione di materiale pornografico, non difficilmente accessibile su internet»[37].

Questo scenario dovrebbe preoccuparci, perché il fenomeno rischia di assumere connotazioni di epidemia sociale, favorendo l’elusione della colpa inconscia del singolo attraverso la condivisione e, soprattutto, secondo il principio psicologico che porta a non avvertire come un «vero» reato il fatto che, pur vietato dalla legge, è comunemente posto in essere dalla maggioranza dei consociati[38].

  1. Il nostro paese, già impegnatosi in materia aderendo alla Convenzione sui diritti del fanciullo firmata il 20 novembre 1989 a New York[39], agendo sull’onda emotiva dei gravissimi episodi di pedofilia accaduti in Belgio[40] e preso atto dell’assoluta carenza normativa che aveva creato non pochi problemi in sede giudiziaria[41], si è dato, nel 1998[42], una specifica disposizione di legge destinata, nelle intenzioni del legislatore, a combattere efficacemente la diffusione del materiale pedo pornografico, ma, purtroppo detta norma mostra i «sintomi» tipici della legislazione dell’emergenza e, in particolare, una poco oculata scelta dei termini[43].

La norma in questione è, infatti, priva di una precisa serie di definizioni in grado di aiutare l’interprete ad applicarla nel migliore dei modi soprattutto in relazione a vocaboli che da sempre hanno generato dubbi in dottrina e giurisprudenza[44].

Si veda, ad esempio, l’articolo 600-ter titolato «Pornografia minorile» che, al primo comma recita: «[I]. Chiunque sfrutta minori degli anni diciotto al fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da 25.822 euro a 258.228 euro».

Il termine «sfrutta», utilizzato dal legislatore invece del più corretto «impiega» ha creato non pochi problemi agli interpreti, tanto da determinare la rimessione della questione alle Sezioni Uniti della Corte di Cassazione sin dalla sua prima apparizione presso il Palazzaccio[45].

Con la sentenza qui in esame[46] la Corte decideva sul ricorso proposto dal procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Biella, nel procedimento cautelare a carico di XY[47].

In particolare il giudice del riesame non aveva ravvisato nella fattispecie il reato di pornografia minorile, posto che le fotografie pornografiche raffiguranti il minore nudo e con il pene in erezione, ammesse dallo stesso indagato, erano state realizzate non per fine di lucro, ma per ragioni affettive o libidinose, mentre il termine utilizzato dal legislatore lascerebbe intendere uno sfruttamento del minore per fine di lucro o, comunque, con ricaduta economica.

Avverso detta ordinanza[48], proponeva ricorso per cassazione il Procuratore presso il Tribunale di Biella, deducendo erronea interpretazione dell’art. 600 ter, comma 1, c.p. in quanto il reato de quo è integrato dallo sfruttamento dei minori di anni diciotto per realizzare esibizioni pornografiche o per produrre materiale pornografico, indipendentemente da qualsivoglia finalità lucrativa.

Il ricorrente osservava poi che la norma, richiamandosi alla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, aveva inteso tutelare il diritto dei minori a un libero e naturale sviluppo fisico, psicologico, spirituale e morale; sicché il termine di sfruttamento doveva intendersi in senso ampio, ivi compreso il loro impiego per fini pornografici, giacché il solo fatto di impiegare dei fanciulli al fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico[49] significa, per ciò solo, sfruttarli.

Sul tema non risultavano pronunce giurisprudenziali da parte della Corte mentre in dottrina si riteneva, con orientamento nettamente maggioritario, che per l’integrazione del reato fosse necessaria l’utilizzazione di più minori con finalità lucrativa o commerciale, o comunque con ricaduta economica, sicché il mero soddisfacimento della lussuria privata dell’agente esulerebbe dalla condotta al pari dell’impiego di un «solo» minore.

Le Sezioni Unite ritenevano tali argomenti non particolarmente approfonditi e, soprattutto, non decisivi.

In particolare veniva criticato il fatto che, in sostanza, ci si riducesse ad una mera analisi semantica, sia valorizzando l’uso legislativo del plurale per indicare i soggetti passivi del reato «minori», sia facendo riferimento al verbo «sfruttare» nel suo significato di «utilizzare economicamente» o, addirittura, di «utilizzare in modo imprenditoriale»[50].

In realtà, per una corretta interpretazione della norma, il canone semantico deve necessariamente essere integrato con gli altri criteri ermeneutici tradizionali.

Per tale ragione non si può omettere di analizzare la suddetta norma alla luce della circostanza che, per contrastare il fenomeno sempre più allarmante dell’abuso e dello sfruttamento sessuale in danno di minori, il legislatore del 1998 ha voluto punire, oltre alle attività sessuali compiute con i minori o alla presenza di minori[51] anche tutte le attività che in qualche modo sono prodromiche e strumentali alla pratica della pedofilia, come l’incitamento della prostituzione minorile, la diffusione della pornografia minorile e la promozione del c.d. turismo sessuale a danno di minori[52].

A tal fine, oltre alla preesistente tutela penale della libertà sessuale del minore, è stata introdotta nel nostro ordinamento una tutela penale anticipata volta a reprimere quelle condotte prodromiche che mettono a repentaglio il libero sviluppo personale del minore, mercificando il suo corpo e immettendolo nel circuito perverso della pedofilia.

Per tale ragione la Suprema Corte riteneva che il reato de quo fosse integrato quando la condotta dell’agente abbia una consistenza tale da implicare concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto, giacché non appare possibile realizzare esibizioni pornografiche, cioè spettacoli pornografici, se non «offrendo» il minore alla visione perversa di una cerchia indeterminata di pedofili; così come, per attrazione di significato, produrre materiale pornografico sembra voler dire produrre materiale destinato ad essere immesso nel mercato della pedofilia.

Sulla base dell’art.14 ci si spingeva poi ad affermare che il legislatore non avrebbe pensato a strumenti straordinari di contrasto, quali l’acquisto simulato del materiale e il ritardo nell’emissione o esecuzione delle misure cautelari, se non avesse ritenuto come scopo della tutela penale quello di impedire la diffusione nel mercato della pornografia minorile; o più esattamente non avrebbe logicamente introdotto gli anzidetti strumenti di contrasto se il reato che intendeva reprimere fosse stato solo quello della produzione di pornografia minorile indipendentemente dal pericolo concreto che questa pornografia fosse immessa nel circuito dei pedofili.

La Corte concludeva, infine, nel senso che, salvo l’ipotizzabilità di altri reati, «commette il delitto di cui all’art. 600 ter, comma 1, c.p., chiunque impieghi uno o più minori per produrre spettacoli o materiali pornografici con il pericolo concreto di diffusione del materiale pornografico prodotto» ravvisando l’elemento oggettivo nel concreto pericolo della diffusione del suddetto materiale[53].

  1. Notevoli problemi ha poi creato l’assenza di una definizione in grado di esplicitare il significato della parola «pornografia» laddove lo stesso non è affatto pacifico.

In particolare la questione è già stata sottosposta al vaglio della Suprema Corte la quale ha ritenuto fondato il motivo di ricorso con cui veniva eccepito che una delle foto inviate dall’imputato al suo interlocutore non poteva in alcun modo considerarsi come pornografica, in quanto si limitava a ritrarre due soggetti nudi e quindi aveva, semmai, un semplice contenuto erotico.

Il problema della definizione di «materiale pornografico» rappresenta, probabilmente, il principale ostacolo da superare per poter arrivare ad un’individuazione certa delle fattispecie sanzionate.

È opinione di chi scrive che, stante la necessaria maggior tutela dei minori, sono da ritenersi pornografiche anche mere immagini di nudo, laddove le stesse siano inserite in un contesto tale da renderne evidente la funzione di stimolo sessuale.

Più precisamente si ritiene che tale debba essere ritenuto tutto quel materiale che, per modalità di ripresa, collocazione ed organizzazione ha la prevalente funzione di eccitare sessualmente un individuo. Nell’ambito dell’applicazione della legge suddetta si dovrà, pertanto, prendere in considerazione non soltanto l’immagine in sé e per sé, ma l’intero contesto in cui la stessa si trova anche al fine di evitare situazioni abnormi e ingiustificatamente vessatorie[54].

Allo stesso modo saranno da ritenersi illeciti anche i cosiddetti siti «non nude» in cui si propongono le immagini di giovanissime modelle in inequivocabili atteggiamenti erotici o eroticizzanti, oppure i siti specializzati in «undressing» e cioè in fotografie di bambini in indumenti intimi ovvero in istantanee «rubate» di bambini in situazioni in cui è possibile intravedere gli indumenti intimi[55].

  1. Il secondo comma stabilisce che la medesima pena si applica a che commercia il materiale prodotto attraverso lo sfruttamento sessuale dei minori mentre il terzo comma è quello che ha sollevato le maggiori critiche in dottrina.

Il legislatore ha, infatti, previsto che «[III]. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al primo e al secondo comma, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga o pubblicizza il materiale pornografico di cui al primo comma, ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 2.582 euro a 51.645 euro».

Sarebbe fin troppo semplice fare della facile ironia sull’assurdità di quell’inciso «anche per via telematica» se non si trattasse di un indice dell’assurda demonizzazione di internet da parte del legislatore del 1998[56] e se non aprisse la via a conseguenze non desiderate e, di certo, non desiderabili.

In particolare, come acutamente osserva Buonomo[57] «qualcuno potrebbe ritenere maliziosamente (utilizzando il noto criterio ermeneutica «ubi noluit non dixit» che il commercio di materiale pornografico punito al comma secondo dello stesso articolo non possa essere commesso «anche per via telematica», perché questa espressa previsione è contemplata soltanto dal terzo comma…».

In realtà si tratta di una mera provocazione, ma è sintomatica dell’attenzione che dovrebbe richiedere la redazione di un testo di legge di tale portata[58].

Ben più grave è l’inspiegabile omissione del requisito della «consapevolezza» o «volontarietà» della condotta che, come ha rilevato la miglior dottrina apre la porta a preoccupanti ipotesi di responsabilità oggettiva da parte degli ISP[59].

Osserva, infatti, Cammarata[60] che, se leggiamo con attenzione le tre ipotesi del terzo comma, possiamo agevolmente verificare che accanto a chi «divulga» ed a chi «pubblicizza» è punito anche il soggetto che «distribuisce» il materiale proibito[61].

Non pochi problemi ha, infine causato l’individuazione delle fattispecie di «divulgazione» e «pubblicizzazione» del suddetto materiale, soprattutto in relazione alla condotta della «cessione» prevista dal successivo quarto comma, in particolare quando ci si trova a doverle applicare al mondo delle reti telematiche[62].

Nel corso degli anni giurisprudenza e dottrina hanno fissato criteri e linee guida relativamente alle differenze tra le varie condotte sanzionate dal terzo comma[63] in relazione con l’ipotesi criminosa prevista dal quarto[64], soprattutto in relazione alle reti.

Proprio in relazione a questa zona di confine si è fatta sentire l’esigenza di precisi interventi del Giudice di legittimità che, con motivazioni condivisibili, ha ritenuto sussistere la divulgazione in caso di cessione attraverso un sistema di chat via IRC[65] anche se, di fatto, le modalità tecniche della condotta con cui avviene lo scambio possono apparire tali da configurare le modalità della cessione piuttosto che della divulgazione[66].

Tale indirizzo è stato successivamente confermato, sia pure dalla medesima sezione, che ha, provveduto a tracciare alcune linee guida in materia[67].

In particolare è stato affermato che, per la sussistenza del delitto di cui al terzo comma dell’art. 600 ter cod. pen., non può ritenersi sufficiente la mera circostanza che le foto pornografiche di minori siano «veicolate attraverso la rete internet», a parte che non si comprende che cosa si intenda con tale espressione, data la sua vaghezza.

In realtà il delitto in esame è certamente configurabile qualora il soggetto, ad esempio, inserisca le foto pornografiche minorili in un sito accessibile a tutti ovvero quando le propaghi attraverso usenet, inviandole ad un gruppo o lista di discussione, da cui chiunque le possa scaricare mentre quando il soggetto invii la foto ad una persona determinata, per esempio allegandola ad un messaggio di posta elettronica, pare ipotizzabile non il delitto in esame, ma quello più lieve di cui al quarto comma.

In relazione alla distribuzione attraverso IRC, la Corte ha osservato che non è significativo limitarsi a rilevare che la cessione delle foto è avvenuta attraverso un canale di discussione, dovendosi, invece, «distinguere l’ipotesi in cui si sia trattato di una sola isolata cessione, avvenuta nel corso di una discussione privata con una determinata persona di modo che la foto sia stata di fatto ceduta ad una sola persona e solo questa abbia avuto la possibilità di prelevarla, dall’ipotesi in cui invece la foto sia stata ceduta in un canale aperto a tutti gli utenti, di modo che qualsiasi soggetto si trovi nella stanza o nel canale abbia avuto la possibilità di prelevarla, oppure sia stata ceduta comunque ad una pluralità di soggetti sia pure attraverso una serie di diverse conversazioni private»[68].

Tale indirizzo è stato recentemente confermato dalla V Sezione[69] la quale ha ritenuto non sussistente il reato di cui al comma 3 dell’art. 600 ter c.p. nel caso di trasmissione diretta tra due utenti di materiale pedo pornografico, sempre attraverso il sistema della «chat line», in quanto lo stesso non costituisce «divulgazione» o «distribuzione».

In particolare la Cassazione accoglieva il ricorso ed annullava l’ordinanza impugnata[70] con rinvio al Tribunale di Trieste.

Anche in questo caso si trattava di un procedimento de libertate scaturito dall’attività di un agente provocatore che aveva agito sotto copertura in un canale chat.

In particolare il Tribunale aveva sostenuto la tesi che, sebbene con il sistema della chat in linea non sia possibile prevedere una divulgazione indiscriminata a tutti i presenti e sebbene «l’interlocutore via internet debba di volta in volta mostrarsi interessato a quel prodotto e accettare di ricevere e scambiare le foto, ciò non è incompatibile con il concetto di divulgazione, atteso che in detto colloquio «privilegiato» l’interlocutore è sconosciuto e può essere potenzialmente costituito nella realtà fisica (non virtuale) da un gruppo di persone (nel caso in esame, ad esempio, erano almeno due gli agenti sotto copertura), delle quali non è dato conoscere nulla, nemmeno l’età».

La Corte censurava tale teoria, ritenendo che, se lo si applicasse a tuti i casi di trasmissione diretta, comprenderebbe anche il caso, escluso invece dalla precedente giurisprudenza in tema di cessione[71], dell’invio di un singolo messaggio ad un singolo indirizzo di posta elettronica[72].

In particolare il punto centrale della decisione è toccato laddove si afferma con decisione che «posto che l’ordinanza dà per pacifico che le trasmissioni dei files contenenti immagini pornografiche sono avvenute su richiesta di chi si è messo per via informatica in «dialogo privilegiato» con l’imputato, è da escludere che tale trasmissione diretta tra due utenti, i quali devono essere necessariamente d’accordo sulla trasmissione del materiale, configuri senz’altro una divulgazione o distribuzione ai sensi del terzo comma della norma citata».

Interessante osservare che, perché vi sia divulgazione o distribuzione, è necessario che l’agente inserisca le foto pornografiche minorili in un sito accessibile a tutti, al di fuori di un dialogo «privilegiato», le invii ad un gruppo o lista di discussione, da cui chiunque le possa scaricare, ovvero, pur inviandole ad indirizzi di persone determinate, lo faccia in successione, realizzando cioè una serie di conversazioni private, e di conseguenti cessioni, con diverse persone.

La Corte ha più volte osservato che si realizza una distribuzione o divulgazione delle foto pedo pornografiche ad una serie indeterminata di persone anche quando la loro cessione avviene attraverso programmi di file sharing[73].

Se, infatti, il soggetto, attraverso l’uso di un programma e di una rete del genere, «condivide» con gli altri utenti le foto pornografiche registrate sul suo disco rigido o in un altro supporto, nel senso che mette a disposizione di tutti la parte del suo disco rigido o di altra memoria di massa dove sono contenute le foto pornografiche minorili in modo che chiunque possa accedere alle cartelle condivise e prelevare direttamente le foto, è evidente che è configurabile una ipotesi di distribuzione e divulgazione ad un numero indeterminato di persone.

Da ultimo deve osservarsi che la cessione o la distribuzione è configurabile anche laddove non vi sia l’invio «diretto» del materiale, ma sia fornito all’interlocutore il link presso cui reperirlo[74].

  1. Concludiamo questa rapida rassegna sulla 269/98 analizzando rapidamente la fattispecie prevista e punita dall’art.600-quater[75] destinato a vietare anche la mera detenzione del materiale pedo pornografico.

In primo luogo si osserva che con i termini «si procura o dispone» si è voluta punire non soltanto la mera detenzione, ma anche la possibilità di detenere.

In particolare si è sottolineato come la disponibilità del materiale sia configurabile anche qualora lo stesso non sia conservato nel proprio elaboratore, ma in un server estero[76].

Ciò, tuttavia, comporta una serie di questioni legate alla detenzione di link a siti pedo pornografici ovvero a risorse che permettono di accedere a tale materiale.

Se si accettasse un’applicazione estensiva del verbo «disporre», si dovrebbe arrivare a temere l’uso di gran parte delle risorse della rete in quanto astrattamente in grado di consentire in pochi istanti di accedere al suddetto materiale.

Anche in questo caso sarebbe stata auspicabile una maggiore chiarezza da parte del legislatore in grado di definire, per esempio, i limiti di tale norma in caso di accesso fortuito[77].

In particolare ci si è posti il problema di tutelare quei soggetti che accedono ai siti pedo pornografici per errore, magari cercando materiale di altro tipo.

La soluzione è, come spesso accade, lasciata al buon senso degli inquirenti, che dovranno essere in grado di discernere tra un accesso casuale ed un accesso volontario[78].

  1. Un altro grave errore del legislatore, su cui, tuttavia, nessuno sembra aver puntato l’attenzione, è rappresentato dall’assoluta mancanza di raccordo tra la legge 269\98 e la legge 66\96[79] che porta a delle conseguenze penalmente assurde, oltre ad ulteriori lampanti incongruenza che potrebbero dar luogo a situazioni paradossali.

Solo a titolo di esempio, si consideri che, nel nostro ordinamento, l’età del consenso è raggiunta per legge[80] col compimento del quattordicesimo anno di età (sedicesimo per condizioni particolari) ed al minore che abbia compiuto i sedici anni è consentito prostituirsi senza alcuna conseguenza per il cliente[81].

Gli articoli 600-ter e quater, tuttavia, fanno riferimento al materiale prodotto mediante lo «sfruttamento» di minori di anni 18, creando in tal modo un paradosso legislativo in cui ad un soggetto è consentito avere rapporti sessuali, anche in cambio di denaro o altra utilità, con un minore ultrasedicenne, ma non il possederne fotografie erotiche o pornografiche.

Allo stesso modo ci si interroga sulle eventuali responsabilità penali in cui incapperebbero due soggetti minori, ultraquattordicenni, che, per esibizionismo, decidessero di riprendersi durante il compimento di atti sessuali e di diffondere il suddetto materiale[82].

Entrambi potrebbero, rectius dovrebbero, essere indagati e condannati per il reato previsto e punito dall’art.600-ter.

È evidente quanto sia necessario intervenire rapidamente per rendere maggiormente omogenea la disciplina della materia.

* Il presente lavoro è frutto dell’attiva collaborazione dell’Associazione Telefono Arcobaleno ONLUS, che qui si ringrazia per il quotidiano impegno in difesa dell’infanzia.

[1] La pedofilia, letteralmente amore dei bambini, è in pratica la tendenza a commettere reati sessuali contro di loro (in tal senso C. Rycroft, Dizionario critico di psicoanalisi, Astrolabio, Roma 1970). L’etimologia del termine è, infatti, greca ed è riconducibile al verbo paidofileo che vuol dire: «io amo i fanciulli» nonché al sostantivo paidofiles il cui significato letterale è «amante» o «innamorato dei fanciulli».

Da un punto di vista scientifico la definizione preferibile è quella fornita dal Manuale Diagnostico e Statistico Dei Disturbi Mentali che caratterizza la pedofilia come «fantasie, impulsi sessuali, o comportamenti ricorrenti ed intensamente eccitanti sessualmente, che comportano attività sessuali con uno o più bambini prepuberi (generalmente di 13 anni o più piccoli)». A tal proposito è stata presenta a livello scientifico una proposta relativa al bisogno di una migliore definizione terminologica della dizione «Pedofilia», che, secondo parte della dottrina medica dovrebbe essere sostituita dal termine «Pedomania» che meglio delineerebbe le caratteristiche del problema (in tal senso si veda V.Mastronardi, M.Villanova, M.Picozzi, Il Trattamento psicoterapeutico del pedofilo in Pedofilia, non chiamatelo amore, a cura di M.Picozzi, M.Maggi, Guerini e Associati, 2003).

Perché possa correttamente pararsi di pedofilia è tuttavia necessario che la durata del comportamento non sia inferiore ai sei mesi e che il soggetto abbia un’età minima di 16 anni e sia maggiore di non meno di cinque anni del bambino, oggetto delle fantasie, degli impulsi o degli atti.

[2] Legge 3 agosto 1998, n. 269, in Gazz. Uff., 10 agosto, n.185. – Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù.

[3] In tal senso si veda M.Strano, Computer crimes, Milano, 2000, 203.

[4] È stato osservato (V.Rizza, Opuscolo informativo sulla pedofilia, in telefonoarcobaleno.com, 2002) che la pedofilia si manifesta con vari comportamenti, in quanto le modalità e le tipologie di atti e abusi possono essere varie. Già soltanto scorrendo le notizie di cronaca, infatti, vediamo emergere la varietà dei comportamenti dei pedofili, le differenti caratteristiche e così pure le loro storie, l’estrazione socio-culturale, le modalità d’approccio al minore, la tipologia degli atti compiuti sui bambini, il grado di pericolosità e gravità. I comportamenti sono molteplici e si parte da quelli esibizionistici, che non prevedono il contatto fisico con il bambino, al palpeggiamento, alla masturbazione reciproca, fino ad arrivare ai rapporti sessuali completi, alla pornografia, ed al pedosadismo. A questo proposito, interessante si rivela l’ipotesi presentata da Schinaia (C.Schinaia, Pedofilia Pedofilie, Boringhieri, Torino, 2000), secondo cui la pedofilia andrebbe interpretata come un sintomo trasversale a strutture e organizzazioni di personalità molto diverse. Nello stesso senso si veda anche Mastronardi (V. Mastronardi, R. De Luca, M.Villanova, Ministero delle Comunicazioni – Gruppo di lavoro Internet @ Minori Relazione del Sottogruppo «Prevenzione primaria» famiglia, scuola, media, minori, ed internet, Roma, 2003) secondo cui «la pedofilia può essere distinta principalmente in intrafamiliare (che si attua all’interno della cerchia delle conoscenze o delle parentele del bambino) e in extrafamiliare (ad opera di soggetti che non hanno nessuna conoscenza con la vittima). Riguardo alla pedofilia extrafamiliare possiamo parlare di almeno tre tipi caratteristici di personalità.

  • Il pedofilo interpretato come «il mostro» che attende le sue vittime fuori dalla scuola, una figura meno problematica delle altre ed in fase di estinzione;
  • Il pedofilo che dà sfogo alle sue perversioni grazie al turismo sessuale;
  • Il pedofilo che irretisce le sue vittime attraverso internet.

Affrontiamo per intanto quest’ultimo punto: il tema della pedofilia via Internet.

I navigatori pedofili on-line se sviluppano dipendenza sessuale collegata ad internet, sono caratterizzati da «compulsione da cibersex» a tal punto, che richiederebbero in diversi casi, necessità di assistenza e procedure di disassuefazione come accade per alcoolisti o eroinomani.

Il pedofilo on-line è caratterizzato da:

  • incapacità di smettere di avere rapporti sessuali virtuali on-line nonostante le rinomate gravi conseguenze;
  • persistente perseguimento di comportamenti rischiosi (es. pornografia minorile) con distorsione e perdita di contatto con l’obiettività, il risultato è che i comportamenti pericolosi continuano;
  • crescente desiderio o sforzo di controllare i comportamenti sessuali on-line. Asseriscono a se stessi che si fermeranno «da questo momento in poi» o «dopo quest’ultima volta», però non succede mai.
  • l’ossessione e la fantasia sessuale divengono le strategie primarie per relazionarsi con gli altri utenti della Rete. Per tutto il giorno può spendere la maggior parte del tempo in uno stupore sessuale davanti al computer. Il compulsivo da cybersex riduce l’ansia cercando l’acting-out sessuale attraverso la sua ricerca e il suo soddisfacimento sessuale in internet in cui il bambino è interpretato come «persona-oggetto-non giudicante» e in definitiva tutto sommato, «facile da irretire» con un po’ di abilità;
  • la persona ha bisogno di una quantità crescente di ciò da cui dipende per ottenere gli stessi risultati;
  • gravi cambiamenti di umore dovuti all’attività sessuale (con profonda vergogna, isolamento e svalutazione);
  • gli elementi basilari della vita, come il cibo, il sonno, il lavoro e i vestiti, divengono secondari. La maggior parte del tempo è spesa nella ricerca del sesso, in internet e/o attraverso internet:
  • la famiglia, gli amici, il lavoro e gli hobby vengono sostituiti dalla ricerca di attività sessuali attraverso internet. Le decisioni sono prese in base al principio del piacere istintuale grazie a obiettivi sessuali e non secondo raziocinio e giudizio». In tal senso si veda anche O.Greco, P.Ramirez, Una forma di perversione sessuale: il Cybersex. Aspetti Nosografici, Criminologici e Pedagogici in «Le Perversioni» Atti del Convegno Aversa 2001 in Rivista semestrale dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa, 2002.

[5] In tal senso si veda F.Boezio, M.D’Alessio, Internet e responsabilità penali, in Internet e responsabilità giuridiche, a cura di G.Vaciago, La Tribuna, 2002, 282.

[6] Per un’ampia bibliografia in materia si rimanda al sito www.telefonoarcobaleno.com, ed in particolare all’opuscolo informativo sulla pedofilia. Mastronardi (V.Mastronardi, R.De Luca, M.Villanova, Ministero delle…, cit, 6), classifica i pedofili in varie categorie:

Pedofilo latente: senza comportamenti manifesti, consapevole della sua diversità sociale;

Pedofilo occasionale: caratterizzato dalla occasionalità del suo approccio pedofilico;

Pedofilo immaturo: carente sviluppo delle capacità relazionali per immaturità istintivo-affettivo-emotiva, con modalità di adescamento seduttivo e passivo;

Pedofilo regressivo: comportamento di adescamento impulsivo conseguente a particolari eventi stressanti o traumatici subiti;

Pedofilo aggressivo: con aggressività fisica verso la vittima;

Pedofilo omosessuale: trasferisce compulsivamente sul bambino l’amore non ricevuto dalla figura materna: immaturità affettiva. In tal senso si veda anche L.B.Petrone, S.Rialti, le caratteristiche di personalità del pedofilo, in Pedofilia. Gli abusati, gli abusanti, a cura di R.Giommi e M.Perrotta, Ed. Del Cerro, 1998.

[7] In tal senso si esprime Pomante (G.Pomante, Internet e criminalità, Torino, 1999, 220) il quale stigmatizza con parole piuttosto dure le campagne di allarmismo che certa stampa ha fatto nei confronti di Internet, con toni tali da indurre i cittadini a diffidare, se non temere apertamente, di questo straordinario strumento. In proposito si veda anche G.Buonomo, Le responsabilità penali, in I problemi giuridici di Internet a cura di E. Tosi, 346s.; D.Minotti, I reati commessi mediante internet, in Internet nuovi problemi e questioni controverse a cura di G.Cassano, 473.

[8] Non soltanto siti web, ma anche gruppi di discussione, posta elettronica, programmi peer to peer, chat etc.

[9] In tal senso si veda quanto dallo scrivente già affermato, in E.Florindi, Internet, bambini e sicurezza, in telefonoarcobaleno.com, 2001, p.3: «In primo luogo occorre subito specificare che il rischio maggiore che corre un ragazzo che navighi da solo non è quello di essere molestato on-line, ipotesi piuttosto remota, ma quello di cadere in qualche truffa. / Numerosi siti, infatti, sfruttano l’ingenuità dei navigatori più giovani, e non solo la loro, per realizzare delle vere e proprie truffe».

[10] Per un’analisi della problematica relativa alle molestie sessuali on line a danno di minori si veda quanto sottolineato da Strano (M.Strano, Computer…, cit., 213 ss). Cfr anche E.Florindi, Internet, bambini…, cit., 4: «Da ultimo affrontiamo il remoto, ma non impossibile, rischio che il bambino, o ragazzo, riceva delle molestie tramite internet. Il rischio maggiore proviene dai programmi di chat e di messaggistica istantanea che permettono di conversare a distanza con altri utenti».

[11] In tal senso si vedano i rapporti sulla pedofilia telematica realizzati da Telefono Arcobaleno e pubblicati alla fine del 2002 e del 2003.

[12] Vedi infra.

[13] Spesso si utilizza il termine «surf safe» per indicare tutte quelle attività in grado di agevolare la navigazione anonima, rectius il più possibile anonima, verso siti con contenuti illeciti in modo da rendere più difficoltosa l’identificazione dei soggetti che operano nella rete da parte delle forse di polizia.

[14] Si tratta del commercio di materiali fotografici, video etc. avente per oggetto pornografia infantile.

[15] Per comprendere appieno la portata del tristissimo fenomeno basti considerare che nel solo primo semestre del 2003 l’Associazione Telefono Arcobaleno ONLUS ha proceduto alla segnalazione di 8.717 siti ad esplicito contenuto pedo pornografico. Il trend crescente è stato purtroppo confermato dai dati del terzo trimestre. Al 30 settembre 2003, infatti, i siti segnati a partire dal primo gennaio avevano raggiunto quota 13.189.

[16] Si tratta di una percentuale pari all’ 82,45% dei siti segnalati!

[17] Anche i servizi di intelligence ed il Parlamento concordano nell’affermare che il mercato della produzione e della commercializzazione della pedopornografia siano gestiti direttamente dalla criminalità organizzata. In particolare, già nel 2000 il SISDE informava che «è stato rilevato un accentuato coinvolgimento della criminalità organizzata in ambiti meno tradizionali ma altrettanto remunerativi, come il mercato della pedofilia e della pornografia» (SISDE, Relazione sulla politica informativa e della sicurezza -secondo semestre 2000 – presentata dal Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuliano Amato, in sisde.it) e nel 2001 confermava che «… accanto alle tradizionali forme di lucro continuano ad intrecciarsi il crescente coinvolgimento nei circuiti dello smaltimento dei rifiuti, delle scommesse clandestine, del mercato della pedofilia e della pornografia, con la rafforzata propensione ad infiltrarsi nel tessuto economico-legale mediante operazioni di riciclaggio…» (SISDE, Relazione sulla politica informativa e della sicurezza presentata dal Ministro per la Funzione pubblica e per il coordinamento dei Servizi di informazione e sicurezza, On. Franco Frattini, per il primo semestre 2001, in sisde.it).

Nello stesso senso anche la Camera dei Deputati che, in relazione alla piaga della pedopornografia, ha ricordato come «una gran parte di questo disumano affare è nelle mani della grande criminalità organizzata» ed ancora «parlo della pedopornografia, di cui si è molto discusso proprio in questi giorni. Abbiamo norme avanzatissime, riusciamo attraverso quelle norme a fare azioni brillanti di indagine, a individuare coloro che si connettono ai siti Internet dedicati, possiamo appunto, attraverso le loro carte di credito, arrivare ai protagonisti, a coloro che si mettono davanti al video. / Poi, però, ci scontriamo con il segreto bancario, con le norme relative alla tutela della privacy e non riusciamo a risalire a chi produce quel materiale. Insomma, e chiudo, quello che intendevo dire è che all’alba del terzo millennio punire in modo omogeneo il delitto di traffico di persone sarebbe la migliore risposta al crimine organizzato e allo stesso tempo concretizzerebbe quell’idea giscardiana di uno spazio giuridico europeo» (Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia e delle altre associazioni criminali similari – Luciano Violante – Presidente della Camera dei Deputati).

[18] È tuttavia chiaro che, come osservato da M.Strano, Computer…, cit., 204 «in realtà la pedofilia continua a essere un fenomeno che si consuma prevalentemente all’interno delle mura domestiche, talvolta all’interno degli istituti di istruzione e negli spogliatoi sportivi…».

[19] Telefono Arcobaleno, Relazione sulla pedofilia 2002.

[20] Osserva Telefono Arcobaleno, Relazione sulla pedofilia 2002, che pedofilia on-line e pedofilia nella vita reale sono due fenomeni «strettamente legati e credere di poter sconfiggere la pedofilia «reale» senza combattere efficacemente la pedofilia «virtuale» rappresenta soltanto una pia illusione destinata a naufragare miseramente».

[21] Nel corso dei primi tre trimestri del 2003 Telefono Arcobaleno ha individuato e denunciato 368 siti pedo pornografici collocati su server italiani o con chiari riferimenti al nostro paese.

[22] Cfr Telefono Arcobaleno, Relazione…, cit.

[23] Telefono Arcobaleno, Rel…, op. ult. cit. In tal senso si veda anche M.Strano, Computer…, cit., 205. Secondo questo Autore tra i fattori organizzativi che connotano la ciberpedofilia va considerata la «nascita e sviluppo di forme di consorzi tra pedofili di tipo pseudopolitico e pseudolibertario».

[24] In un noto sito è possibile leggere la seguente presentazione: «Ho voluto creare questo sito perché ho sentito anch’io, come tanti altri pedofili, il desiderio di partecipare all’impegno per dimostrare al mondo il vero volto della pedofilia e soprattutto qual’è la differenza tra chi ama i bambini e chi li maltratta. In queste pagine troverete le mie considerazioni sull’argomento, le mie risposte a tutte le cose che ho letto e sentito contro la pedofilia, la mia storia, i miei sentimenti e le mie esperienze. Mi rivolgo soprattutto a chi pensa male della pedofilia: visitate il mio sito con la massima serenità, senza pregiudizi e con lo spirito di chi vuole approfondire la propria conoscenza. Io non ho la presunzione di portare, con le mie considerazioni, la verità assoluta, voglio soltanto dare la possibilità a chi non sa determinate cose, di conoscere meglio un fenomeno di cui si parla troppo spesso a sproposito, senza i necessari approfondimenti e senza la volontà di mettersi in discussione. Quindi, quelle che leggerete saranno le mie personali opinioni che possono essere giuste o sbagliate ma per cui chiedo rispetto» (Fonte: il sito di P).

[25] Tra gli argomenti preferiti da tali soggetti vi è quello secondo cui ci sono pedofili buoni e pedofili cattivi come si evince da un documento presente in rete e noto come «lettera di P ai bambini» in cui si inizia affermando «In questa pagina mi rivolgo ai bambini e ai ragazzi fino ai 14 anni […] penso che negli ultimi anni abbiate sentito parecchie cose riguardo la pedofilia, dalla televisione, dai vostri professori e dai vostri genitori. / Avete sentito cose terribili su noi pedofili e molto probabilmente avete pensato che noi siamo tutti dei mostri che pensano solo a violentare i bambini. Sicuramente tra i pedofili ci sono anche tante persone cattive ma non siamo tutti così. / Però tutti quelli che vi hanno parlato della pedofilia hanno cercato di convincervi che siamo tutti degli esseri pericolosi e che se vi capita di conoscere uno di noi dovete allontanarvi immediatamente. Ma le cose non stanno come tentano di farvi credere. / Ci sono pedofili buoni e pedofili cattivi come ci sono i buoni ed i cattivi anche tra quelli che vanno con gli uomini o con le donne. I pedofili buoni non violentano i bambini, perché amano i bambini e quindi non gli farebbero mai qualcosa che li farebbe soffrire. Ai pedofili piace fare sesso con i bambini ma questo non significa che costringerebbero un bambino a fare quelle cose anche se non vuole. /  Se un pedofilo ha rispetto per i bambini, ci fa sesso solo se anche i bambini lo vogliono fare, altrimenti non lo fa e basta», si prosegue poi sostenendo che «tante persone vi hanno parlato male di noi e hanno detto che vogliono proteggervi dalla violenza, ma c’è una cosa molto importante che probabilmente non vi hanno detto. / In Italia e in tanti altri paesi del mondo c’è una legge che dice che chi ha meno di 14 anni non è libero di decidere se fare sesso oppure no. Per farvi capire bene cosa significa vi faccio un esempio. Immaginate un adulto pedofilo che fa amicizia con un bambino. Questo adulto e questo bambino fanno sesso assieme. Tutti e due lo fanno perché ne hanno voglia, sono felici di farlo, si divertono e nessuno dei due costringe l’altro a fare qualcosa che non vuole. Se qualcuno viene a sapere che l’adulto e il bambino fanno sesso e lo va a dire alla polizia, l’adulto finisce in prigione. Questo vi potrà sembrare strano perché se il bambino era d’accordo nel fare sesso, l’adulto non avrebbe commesso nessuna violenza verso il bambino. Ma purtroppo la legge dice che se un adulto fa sesso con una ragazzo o una ragazza che ha meno di 14 anni, è come se gli avesse fatto violenza, anche se in realtà hanno fatto sesso perché lo volevano tutti e due». Si procede poi spiegando che «quell’adulto viene processato e anche se il bambino dice che l’adulto non lo ha costretto a fare sesso ma lo hanno fatto perché lo volevano entrambi, l’adulto viene messo in prigione. Il bambino può anche giurare che si è divertito a fare sesso, può urlare, mettersi a piangere e chiedere in ginocchio di lasciare in pace il suo amico adulto, ma i giudici non gli daranno mai ascolto perché secondo loro, chi ha meno di 14 anni non deve essere libero di decidere se fare sesso o no». / Si passa poi a difendere il «diritto» (sic) dei bambini ad avere rapporti sessuali con adulti: «Voi bambini dovete essere liberi di scegliere se fare sesso o no ma gli adulti non vi vogliono dare questa libertà perché credono che i bambini siano degli stupidi incapaci di decidere da soli. Io sono un adulto ma non la penso come gli altri della mia età perché amo i bambini e rispetto le loro opinioni mentre la maggior parte dei grandi dicono di voler bene ai bambini ma in realtà non hanno assolutamente rispetto per loro e ogni volta che voi bambini cercate di dire qualcosa che non gli sta bene, vi zittiscono e dicono che non capite nulla. / Tutto questo deve finire perciò dovete darvi da fare anche voi per cambiare la situazione».

In altri siti (Cfr. Danish Pedophile Assotciation) si va oltre ed alla domanda «Cosa accade quando viene scoperta una relazione illegale?» si risponde in maniera tale da indurre il bambino a non rivelare nulla. Nella prima parte della risposta, molto simile a quella di P, si descrive con toni foschi l’arresto del pedofilo: «Quando una terza parte ha il sospetto che stia avvenendo dell’attività sessuale illegale tra un adulto e un bambino, può accadere che denunci il fatto alle autorità credendo che tale attività non sia gradita al bambino o gli causi danni. E così si mette in moto il polverone: il pedofilo viene arrestato e la sua casa perquisita allo scopo di trovare fotografie, lettere, diari od altri indizi che possano confermare il sospetto. Nella seconda parte si fa direttamente leva sui timori del bambino (in particolare paura dell’abbandono, del senso di colpa e di essere lasciato solo: «Il bambino, i suoi genitori ed amici vengono interrogati e chiamati a testimoniare in tribunale (certi pedofili dimenticano di pensare a quanto problematica possa essere una tale situazione prima che sia troppo tardi). In una simile evenienza il bambino ha urgente bisogno di parlare con qualcuno che ne comprenda i sentimenti, ma una tale comprensione probabilmente non la troverà: il bambino non ha la possibilità di parlare col pedofilo, i genitori reagiscono istericamente, ed allora l’unica persona con cui avrà modo di parlare è un benevolo psicologo che non gli saprà dire altro che parole ostili nei confronti di quell’adulto che magari era il suo miglior amico». In particolare nelle conclusioni si afferma «Al che il bambino si sentirà in colpa per quanto causato al suo miglior amico e proverà vergogna nel vedere i suoi segreti più intimi sbandierati ai quattro venti da una stampa insensibile e sensazionalistica. Per quanto riguarda il pedofilo, ovviamente finirà in galera, magari perdendo il proprio lavoro dopo essere stato abbandonato da famiglia ed amici»; il suggerimento, nemmeno tanto velato, è dunque: negare e non racconatare mai nulla a nessuno.

È facile comprendere quanto queste affermazioni possano generare confusione o sensi di colpa in un bambino. A ciò, viste le fosche descrizioni delle conseguenze, si aggiunge il fortissimo timore, di essere «scoperto» con un procedimento che lo porta a colpevolizzare soprattutto se stesso per ciò che è accaduto. Per un bambino è, infatti, naturale essere curioso, interrogarsi ed interrogare gli altri a proposito del sesso, ma una cosa è per un bambino, sognare, dedicandosi a giochi sessuali con sé stesso o con i suoi coetanei, ben altro è trovarsi di fronte alla realtà dell’orgasmo adulto (Cfr. J.P.Bonnetaud,Critique de l’argumentation pèdophiliques, Evol. Psychiat., vol. 63,n.1-2, 83-102, 1998); in tal senso si veda anche V.Rizza, Opuscolo informativo …, cit.

Contrari a tale teoria non solo i pedofili, ma anche alcuni «intellettuali sostenitori» della pedofilia, i quali considerano abuso solo quelle situazioni in cui il minore viene costretto a partecipare contro la sua volontà all’atto sessuale, sostenendo che il bambino, anche se piccolo, è perfettamente in grado di dare o meno il suo consenso. La conclusione è sempre quella: giungere a rivendicare il diritto del bambino ad esprimere liberamente la sua sessualità, che, a detta dei pedofili, sarebbe oppressa da una società sessuofobica e moralista. La convinzione di procurare piacere al bambino, sul quale i pedofili proiettano i propri sentimenti e desideri, giudicandosi spesso provocati e vittime passive di un gioco di seduzione, permette a questi soggetti di operare un totale processo di negazione della realtà. L’intensità e il calore affettivo del bambino vengono fraintesi come invito sessuale. Considerandosi dalla parte dei bambini, i pedofili proiettano sulla società la responsabilità di qualsiasi conseguenza negativa per il minore, sostenendo che gli effetti dannosi sul bambino sono provocati esclusivamente dal dovere mantenere il segreto e dalla stigmatizzazione sociale delle relazioni pedofile. (Cfr C.Roccia, C.Foti, Pedofilia: dal bambino abusato all’adulto perverso, Unicopli, Milano, 1994). Vi sono poi intellettuali, che talora trovano spazio sul teleschermo e sulla stampa, i quali esaltano la ricerca di un’infanzia diversa, emancipata, nella quale la sessualità non venga soffocata dall’ipocrisia sociale. In realtà non fanno altro che auspicare un’emancipazione dalle proibizioni che ostacolano il potere di seduzione di un adulto nei confronti del bambino, potere che si instaura in una relazione innegabilmente asimmetrica e narcisistica, in quanto l’altro è comunque manipolato e considerato come oggetto per raggiungere uno scopo.

Non può, infine, trascurarsi, un utilizzo strumentale dell’arte, troppo spesso adibita a comodo paravento per produzioni che di artistico hanno ben poco. Basti pensare alle «opere» fotografiche di David Hamilton, ovvero a film come «Pretty baby» di Luis Malle o «Maladolescenza» di Pier Guiseppe Murgia (1977), in cui i bambini assumono le vesti di consapevoli seduttori ed gli stessi vengono impiegati in scene erotiche, tanto che si tratta di film, spesso, vietati ai minori.

La cultura pedofila è, quindi, sostenuta implicitamente, almeno per alcuni aspetti, anche dalla società contemporanea. Scrivono Foti e Roccia che «La pedofilia non è una reazione perversa del tutto isolata, ma gode di differenziate e sfumate adesioni. La tendenza, da sempre radicata nell’immaginario erotico collettivo (soprattutto maschile), a privilegiare «la carne fresca», il corpo giovane, viene incentivata nella società contemporanea, che favorisce la differenziazione degli stimoli erotici e dell’offerta sessuale (in modo tale da coinvolgere la preadolescenza e l’infanzia) anche come via di fuga dalle ansie e dalle difficoltà della relazione eterosessuale tra adulti; lo sviluppo della pedofilia è stato infatti messo in collegamento da alcuni autori con la diffusione dell’AIDS e con le conseguenti angosce di impotenza e di morte del maschio, angosce superabili difensivamente nel rapporto con un partner infantile, meno a rischio di contagio e più facilmente manipolabile».

[26] A tale proposito esemplare è quanto affermato nel sito ufficiale della Danish Pedophile Association, con un’intera sezione in lingua italiana, oppure nell’italianissimo «sito di P», entrambi on line da anni, o, ancora, nel libro di Luther Blisset «Lasciate che i bimbi» facilmente reperibile in internet.

[27] Altra tecnica molto utilizzata è quella di sfruttare argomentazioni apparentemente logiche ed inoppugnabili per giustificare lo sfruttamento sessuale dei minori. Si veda ad esempio quanto riportato nel sito della Danish Pedophile Association: «Questa mattina, 6 febbraio 1998, ho seguito una trasmissione televisiva, […], a proposito della lotta alla pornografia infantile su Internet. Mi ha soprattutto colpito l’inoppugnabile modo con cui questo tema – ancora una volta – è stato trattato. Mancanza assoluta di domande critiche: se vale la pena dello sforzo, se tutta la pornografia infantile sia dannosa per definizione, se la possibilità di accesso a un tale tipo di pornografia non potesse prevenire l’abuso sessuale infantile… mi fa venire il nervoso la superficialità con cui vengono descritte le cose quando si parla di pornografia ed abuso sessuale infantili, dando per scontato che il sesso con i bambini sia sempre dannoso. Al che mi viene spontanea la domanda: se ci si dà un così gran da fare per il bene dei bambini, perché non si va mai a chiedere il loro parere? È sempre un preconcetto «bene dei bambini» espresso dagli adulti, quello che si sente. / Eppure la realtà ci mostra che i danni ai bambini derivano più spesso proprio dalle reazioni negative dell’ambiente che non dalla relazione sessuale in sé. E non sono postulati che butto lì: è comprovato da documentate ricerche su vasto materiale (si vedano ad esempio Preben Hertoft e Hans Hessellund). Viene davvero da pensare che vasti strati della popolazione siano vittima di una suggestione di massa che ricorda un poco allettante passato in cui nessuno osava porsi certe questioni. Questioni che, quando invece le si pone, causano – se non il linciaggio di chi le ha sollevate – perlomeno gravi sospetti nei confronti delle sue intenzioni. / Diversi anni fa ho avuto modo di vedere film che mostravano la cosiddetta «pornografia infantile». Ne erano protagonisti ragazzini dai 12 ai 15 anni circa che si divertivano tra di loro… in tutti i modi. Non dava per nulla l’idea che venissero «abusati» o che si «profittasse di loro»: al contrario, se la spassavano visibilmente. Con ciò non voglio dire che non si possano verificare abuso o sfruttamento, ma francamente mi sembra ci sia bisogno di fare una certa distinzione dove occorre farlo, cosa che mi pare sia fatta solo ed esclusivamente da specialisti quali sessuologi e criminologi. / Per prima cosa è bene vi mettiate in testa che la stragrande maggioranza (probabilmente il 99%) dell’«abuso» infantile in atto nel terzo mondo è opera della popolazione locale, presso la quale c’è sempre stata un’attitudine nei confronti delle relazioni sessuali tra adulti e minori diversa da quella dei paesi occidentali. Ed è anche questo ad attirare i turisti. Turisti che, beninteso, in maggioranza non sono pedofili, ma sono spesso comuni eterosessuali in vena di provare «carne giovane». / Non è ammissibile che noi dell’Occidente ci intromettiamo con ramanzine moraleggianti per raccontare ad altri di cambiare una cultura che, dal loro punto di vista, può essere valida almeno quanto la nostra. Eppure è proprio quanto accade: i problemi del sesso con i minori nei paesi dell’Oriente non sono mai esistiti prima che l’Occidente cominciasse ad immischiarsi e prima che, proprio a causa dell’ipocrisia dell’Occidente, in tali Paesi cominciasse ad instaurarsi una vera e propria commercializzazione della sessualità con i minori.

Secondo: la prostituzione infantile la si potrà magari combattere in una zona particolarmente messa in risalto, ma essa riapparirà velocemente in un’altra zona. La lotta al desiderio sessuale è destinata al successo tanto quanto potrebbe esserlo il combattere l’appetito.

Terzo: cosa avete intenzione di fare con i bambini salvati dalla prostituzione? Avete approntato dei programmi d’aiuto che possano costituire una valida alternativa? Certo che non li avete, perché si tratta di un compito immane, che come minimo richiederebbe decenni. Eppure vi siete messi in testa di fermare il turismo sessuale ora e sempre, con ogni mezzo… e con che risultati? Col risultato che i bambini e le loro famiglie vengono scaraventati in una povertà ed una miseria peggiori di prima. Cosa non si farebbe per la sana morale! / Sarebbe molto meglio se vi preoccupaste delle orribili condizioni nelle quali vivono i bambini: povertà e lavoro minorile in condizioni inumane. Al che la prostituzione come ragione di vita scivolerebbe da sé sullo sfondo. Vietare la prostituzione come primo provvedimento fa cadere i bambini dalla padella nella brace, ma i puritani, a quanto pare, preferiscono che i bambini si sfamino mendicando o lavorando in condizioni pietose piuttosto che prostituendosi» e tali teorie del «sesso come cultura», del «male minore» è una sorta di cavallo di battaglia anche di molti intellettuali nostrani.

[28] Contrariamente a quanto succede in ogni organizzazione il neofita non viene deriso, evitato, né deve pagare pegno, non esiste né forte né lata, alcuna forma di nonnismo, anzi è «amorevolmente» preso in consegna dalla comunità, educato, istruito, protetto e molto raramente redarguito soltanto se, per l’inesperienza, compie azioni che possono in qualche modo recare danno alla comunità. Il novellino può chiedere ed ottenere quasi tutto: dalle dettagliatissime indicazioni su come navigare anonimo, ai siti migliori da cui iniziare la propria esperienza pedo in rete ivi compresi i siti da evitare perché monitorati dalle autorità di polizia, fino ad arrivare al sostegno psicologico da parte di esperti nel caso di crisi di paranoia (ovvero, nel gergo pedo telematico, le crisi di «paura dell’autorità», della polizia telematica, dei gruppi attivi antipedofili). Non mancano infine i gruppi di supporto legale.

[29] Altre volte, questi stessi siti in apparenza pseudo-normali nascondono directory segrete con foto pornografiche di atti sessuali che coinvolgono bambini talora piccolissimi! E, purtroppo, di directory segrete con questo tipo di contenuti se ne trovano anche in siti che, in apparenza, si presentano magari dedicati a tutt’altro: emblematico il caso di un sito portoghese, tipo personal home page, con foto dell’autore e della sua compagna, degli amici, dei viaggi e via dicendo, ma in una piccola directory nascosta sono state trovate immagini abominevoli.

[30] Tra di loro troviamo la più grande e sordida differenziazione: i pedo amanti della biancheria intima infantile, i pedo amanti delle orge tra bambini, con ogni variante gay e lesbo, i pedo amanti delle gambe e dei piedi dei bambini, i pedo amanti delle foto di neonati e bambini con il pannolino, i pedo sadici in tutte le varianti (fino ad arrivare alle foto e ai video di punizione corporale «a sangue», fino alle richieste spasmodiche di foto di tortura) e poi i pedo estremi (come definire l’estremo in un estremo?), ossia quelli che nella differenziata gamma della perversione necrofila cercano (e purtroppo trovano) foto e video di bimbi morti, magari di morte violenta e meglio se nudi, e meglio se con sequenze di dettaglio per arrivare alle richieste di video veri che mostrino la morte vera e procurata di un bambino (cosiddetti snuff movie).

[31] Cfr. Telefono Arcobaleno, Relazione…, cit.

[32] Si vedano, per esempio, le polemiche sul forum di Punto informatico che hanno accompagnato la pubblicazione da parte di Telefono Arcobaleno del report sulla Pedofilia relativo al I semestre 2003.

[33] Criticando le ossessive campagne di stampa Pomante (G.Pomante, Internet…, cit., 221) osserva che non «viene mai citato l’aspetto più inquietante: la reale diffusione della devianza tra la gente comune».

[34] Fonte: Telefono Arcobaleno.

[35] In tal senso si veda anche M.Strano, Computer…, cit., 204ss.; F.Boezio, M.D’Alessio, Internet e…, cit., 282s; G.Pomante, Internet e…, cit., 221s.

[36] Secondo la Guardia di Finanza, tra i pedofili telematici starebbe tornando in auge la primitiva forma di Internet: singole BBS, secondo il modello di FIDONET (AA.VV., Il commercio elettronico  a cura del Nucleo regionale polizia tributaria, Milano, 563).

[37] V.Rizza, Opuscolo…, cit., 45.

[38] Cfr. F.De Masi, Il mondo del pedofilo, in Famiglia oggi, n. 12, 20-27, 1998.

[39] Ratificata dal nostro Paese con la legge 27 maggio 1991, n.176.

[40] In particolare si fa qui riferimento al noto affaire Dutroux, altresì noto come scandalo di Marcinelle, che costò la vita a due bambine (Julie e Melissa) lasciate morire di fame da pedofilo belga Marc Dutroux. Tale, tragico, episodio di cronaca innescò una serie di indagini che portarono alla scoperta di una ramificatissima rete di pedofili e destò allarme e stupore nell’agosto del 1996 in tutta Europa.

[41] In tal senso si veda C.Sarzana di Sant’Ippolito, Le caratteristiche della criminalità informatica: profili nazionali ed internazionali, in Per Aspera ad Veritatem, n.12, 1998, disponibile anche in sisde.it, secondo cui, prima dell’entrata in vigore della lex 269 del 1998 l’unica strada per combattere la pedo pornografia era il ricorso all’articolo 528 c.p. «…in proposito, occorre fare giustizia di opinioni frettolose espresse da pur qualificati esponenti della Magistratura inquirente secondo i quali i PM avrebbero le mani legate giacché non sarebbe possibile giuridicamente intercettare i flussi di comunicazioni telematiche di tipo pedofilo in quanto l’unica disposizione applicabile in proposito sarebbe quella prevista dall’art. 528 c.p. (pubblicazioni e spettacoli osceni) che prevede la sanzione della reclusione da tre mesi a tre anni e della multa non inferiore a lire 200.000: questo livello di pena non consentirebbe la possibilità di autorizzare le intercettazioni…».

[42] Si tratta della legge 3 agosto 1998, n. 269 (in Gazz. Uff., 10 agosto, n. 185). – Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù.

[43] In tal senso si veda M.Strano, Computer…, cit., 268 secondo cui «questa legge sembra rivestire soprattutto un ruolo demagogico» e «non spiega poi chiaramente che cosa si intenda per pornografia e si avvale di termini troppo generici». Del medesimo avviso è anche G.Livraghi, Dalla parte dell’inquisitore, in interlex 2000, il quale suggerisce al legislatore «…di organizzare i necessari interventi non in un generico e indistinto pastone emozionale o con occasionali «giri di vite» ma con operazioni metodiche, continue nel tempo, e ognuna mirata su una specifica patologia». Si veda poi G.Buonomo, Le responsabilità…, cit., 348. Nello stesso senso l’intervento (in sede di discussione generale della Commissione Speciale in materia di infanzia, in data 30 Luglio 1998, 25° Seduta) del senatore Callegaro che, pur preannunciando il voto favorevole del Gruppo CCD sul disegno di legge, fece rilevare che si era proceduto a legiferare sotto la spinta dell’emotività e della fretta. Il Senatore concludeva sottolineando che, pur esprimendo voto favorevole per puro senso di responsabilità, ma non nascondeva l’amarezza per un testo che avrebbe potuto sicuramente essere migliorato.

[44] Si pensi alla difficoltà di definire in maniera certa che cosa sia «pornografia infantile» e che cosa significhi «sfruttamento sessuale».

[45] Più precisamente si veda Cass. pen., Sez.III, 03/12/1999, come massimata in Diritto e Giustizia, 2000, f.20, 9, nota di DOSI, in cui la Suprema corte ha ritenuto di rimettere la questione alle Sezioni Unite «non per un contrasto di giurisprudenza, ma per la particolare importanza e delicatezza della questione, l’interpretazione della disposizione dell’art. 600 ter c.p., introdotto nel codice dall’art. 2.1 l. n. 269 del 1998, che riguarda, in particolare, il comportamento di chi «sfrutta» minori al fine di realizzare esibizioni pornografiche, o di produrre materiale pornografico. L’ordinanza rileva come la norma possa essere interpretata sia nel senso che il legislatore abbia ritenuto essenziale – per la configurabilità dell’illecito – lo scopo di lucro dell’agente (come farebbe pensare il termine «sfrutta») e l’esistenza di una, pur rudimentale, organizzazione operante con abitualità e con impiego di più minori, sia nel senso, per il quale la sezione rimettente mostra propendere, che i comportamenti illeciti possano avere finalità diverse da quella di lucro e possano riguardare anche un solo minore. Per questa seconda interpretazione militerebbero gli argomenti secondo cui: il bene tutelato dalla normativa antipedofilia sarebbe quello della dignità della persona umana e in particolare di quella del minore; il reato di sfruttamento della prostituzione minorile (a scopo di lucro) sarebbe già previsto dall’art. 600 bis c.p.; il concetto di pornografia minorile comprenderebbe anche finalità diverse da quelle di lucro, tanto che la norma punisce anche la cessione gratuita di materiale pornografico, il che consentirebbe di porre l’accento della disposizione sull’impiego di minori e non sul loro sfruttamento».

[46] Si tratta di Cassazione penale, Sezioni Unite, 31 maggio 2000, n. 13.

[47] XY era stato indagato per i seguenti reati: a) artt. 81 cpv., 609 bis e 609 ter n. 1 c.p. (perché, con abuso dell’autorità di insegnante di sostegno, aveva costretto un minore di anni tredici a subire atti sessuali e a compiere atti sessuali sulla sua persona);

  1. b) artt. 600 ter, comma 1, e 600 sexies, commi 1 e 2, c.p. (perché aveva sfruttato il predetto minorenne al fine di realizzare e produrre materiale pornografico).

[48] In particolare il Tribunale del riesame concedeva all’imputato gli arresti domiciliari.

[49] Con il termine esibizione deve intendersi la realizzazione di uno «spettacolo» dal vivo, dinanzi ad un pubblico, mentre per «materiale pornografico» vanno intesi giornali, fotografie, riviste, video ed anche reperti biologici, se intesi come forma di depravazione sessuale. In tal senso si veda S.Frattolin, La responsabilità dei providers per contenuti pornografici a danno dei minori in rete, in Diritto delle nuove tecnologie informatiche e dell’internet, a cura di G.Cassano, IPSOA, 2002, 1447.

[50] A tale proposito le Sezioni Unite osservano che «il criterio semantico non sembra correttamente applicato, anzitutto perché «sfruttare» nel linguaggio comune è sinonimo di «trarre frutto o utile» in genere, non necessariamente utile di tipo economico; e in secondo luogo perché, laddove la nozione di sfruttamento minorile è usata nello stesso contesto semantico (commi primo e quarto dell’art. 600 ter, per indicare il materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento di minori), in un caso (quarto comma) la nozione di sfruttamento è qualificata dall’aggettivo sessuale, sicché tale qualifica appare esplicativa, e non alternativa, rispetto alla nozione generica di sfruttamento usata nel primo caso (comma primo).

Se ne deve concludere che nell’art. 600 ter c.p. il legislatore ha adottato il termine «sfruttare» nel significato di utilizzare a qualsiasi fine (non necessariamente di lucro), sicché sfruttare i minori vuol dire impiegarli come mezzo, anziché rispettarli come fine e come valore in sè: significa insomma offendere la loro personalità, soprattutto nell’aspetto sessuale, che è tanto più fragile e bisognosa di tutela quanto ancora in formazione e non ancora strutturata».

[51] Cfr. artt 609 quater e 609 quinquies.

[52] Del resto, che di tale natura fosse la intentio legis è palesato dallo stesso art.1 della legge 269, laddove si proclama come obiettivo primario «la tutela dei fanciulli contro ogni forma di sfruttamento e violenza sessuale a salvaguardia del loro sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e sociale». Il tutto in adesione ai principi della Convenzione sui Diritti del Fanciullo, sottoscritta a New York il 20.11.1989, e ratificata in Italia con legge 27.5.1991 n. 176, nonché alla dichiarazione finale della Conferenza mondiale di Stoccolma, adottata il 31.8.1996.

Significativo al riguardo è il preambolo della predetta Convenzione, laddove si sottolinea la necessità di prestare al fanciullo protezioni e cure particolari «a causa della sua mancanza di maturità fisica ed intellettuale»; nonché soprattutto il testo dell’art.34 della stessa Convenzione, secondo cui gli Stati parti «si impegnano a proteggere il fanciullo contro ogni forma di sfruttamento sessuale e di violenza sessuale», adottando in particolare misure destinate ad «impedire che i fanciulli a) siano incitati o costretti a dedicarsi ad un’attività sessuale illegale; b) siano sfruttati a fini di prostituzione o di altre pratiche sessuali illegali; e) siano sfruttati ai fini della produzione di spettacoli o di materiale a carattere pornografico». In tal senso si veda Cass. pen., Sez.un., 31/05/2000.

[53] Nel caso che aveva dato origine alla decisione le Sezioni Unite ritenevano che non ricorresse alcun indizio da cui potersi desumere un pericolo concreto di diffusione del materiale pornografico realizzato dall’imputato. Anzi, venivano positivamente valutati indizi contrari, di un uso puramente «affettivo» (anche se perverso) delle poche fotografie che ritraevano il minorenne: lo scarso numero delle foto e il loro riferimento a un solo minore, ma anche e soprattutto la circostanza che lo stesso minore avesse dichiarato di aver consentito a essere fotografato e che l’imputato era molto «geloso» delle foto scattategli e che verosimilmente non le avesse mostrate ad altre persone.

[54] In exemplum la foto di un bambino nudo su una spiaggia, magari rinvenuta in casa dei genitori dello stesso, non è di per sé oscena, né potrebbe dar luogo a sanzioni, ma la raccolta sistematica di simili immagini, anche riferite a differenti soggetti, è indice evidente di un utilizzo delle stesse a fini sessuali.

[55] Numerosi sono i siti che raccolgono foto di bambini sull’altalena, che giocano, che si allacciano le scarpe etc.

[56] In tal senso D.Minotti, I reati commessi…, cit., 473; S.Frattolin, La responsabilità…, cit., 1447s.; G.Buonomo, Le responsabilità…, cit., 348; M.Cammarata, «Chiunque distribuisce… anche per via telematica»: i fornitori sono serviti, in interlex, 1998.

[57] G.Buonomo, op. ult. cit., 349.

[58] In tal senso si veda D.Minotti, I reati commessi…citp.473.

[59] In tal senso l’On.S.Semenzato, che, nella relazione al DISEGNO DI LEGGE n.3733 (1999), a proposito del terzo comma osserva: « …sia nel comma seguente a quello citato, quando si parla di «cessione» di materiale pornografico, sia all’art.4 [art. 600-quater NdA] quando si parla di «detenzione» di materiale pornografico viene utilizzato l’aggettivo «consapevolmente» al fine di sottolineare il carattere del dolo, tipico di ogni fattispecie penale. Il testo perciò precisa che «chiunque consapevolmente cede» e «che chiunque consapevolmente si procura o dispone».

Nel punto in questione invece l’aggettivo «consapevolmente» viene omesso determinando così una sorta di responsabilità oggettiva di coloro che – anche inconsapevolmente – distribuiscono il materiale pornografico.

La comparazione tra i commi e una interpretazione letterale del testo porta così ad ipotizzare il reato – nei confronti dei gestori di sistemi telematici, Internet nello specifico, ma anche nei confronti dei servizi postali pubblici o privati – laddove si scoprisse una distribuzione, ancorché non voluta, di materiale pornografico».

[60] M.Cammarata, «Chiunque distribuisce…, cit.

[61] In tal senso anche S.Frattolin, La responsabilità…, cit., 1447; il rischio deve, tuttavia, ritenersi notevolmente mitigato in seguito all’entrata in vigore del Decreto Legislativo 9 aprile 2003, n. 70, (in Suppl. ord. n. 61, alla Gazz. Uff., 14 aprile, n.87). «Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico» che, all’art.14, espressamente regola la responsabilità dei provider:

«art.14 Responsabilità nell’attività di semplice trasporto – Mere conduit .

  1. Nella prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nel trasmettere, su una rete di comunicazione, informazioni fornite da un destinatario del servizio, o nel fornire un accesso alla rete di comunicazione, il prestatore non è responsabile delle informazioni trasmesse a condizione che:
  2. a) non dia origine alla trasmissione;
  3. b) non selezioni il destinatario della trasmissione;
  4. c) non selezioni né modifichi le informazioni trasmesse.
  5. Le attività di trasmissione e di fornitura di accesso di cui al comma 1 includono la memorizzazione automatica, intermedia e transitoria delle informazioni trasmesse, a condizione che questa serva solo alla trasmissione sulla rete di comunicazione e che la sua durata non ecceda il tempo ragionevolmente necessario a tale scopo.
  6. L’autorità giudiziaria o quella amministrativa, avente funzioni di vigilanza, può esigere, anche in via d’urgenza, che il prestatore, nell’esercizio delle attività di cui al comma 2, impedisca o ponga fine alle violazioni commesse».

[62] Art.600-ter, 4 comma: «Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo, consapevolmente cede al altri, anche a titolo gratuito, materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione fino a tre anni o con la multa da 1.549 euro a 5.164 euro».

[63] La giurisprudenza è più volte intervenuta fornendo definizioni e fattispecie per chiarire le varie ipotesi. In questo modo nel corso degli anni è stato specificato che «La condotta di distribuzione del materiale pedo-pornografico deve ritenersi integrata dalla diffusione fisica del materiale medesimo, mediante invio di esso ad un novero, predefinito o meno, di destinatari» Cass. pen., Sez.III, 27/04/2000, n.1762 come massimata in Cass. Pen., 2002, 1041; «Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 600 ter comma 3 c.p. (distribuzione, divulgazione o pubblicizzazione del materiale pornografico di cui al precedente comma 1 con qualsiasi mezzo, anche in via telematica), se da una parte non basta la cessione di detto materiale a singoli soggetti, dall’altra è sufficiente che, indipendentemente o meno dalla sussistenza del fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre il relativo materiale, questo venga propagato ad un numero indeterminato di destinatari, come, ad esempio, si verifica nel caso in cui venga effettuata la cessione a più persone di fotografie pornografiche di minori mediante l’uso di una c.d. chat line (sistema di comunicazione in tempo reale che permette agli utenti di scambiarsi messaggi ed altre informazioni in formato digitale e che è strutturato come uno spazio virtuale, suddiviso in tante stanze (canali) in cui diversi soggetti possono dialogare» Cass. pen., Sez.III, 14/07/2000, n.2842 come massimata in Cass. Pen., 2001, 3432; «Le condotte di divulgazione e pubblicizzazione sono punite in quanto costituiscono attività idonee ad incrementare la domanda del materiale stesso, agevolando ed accrescendo il volume della circolazione di esso. La condotta di divulgazione implica l’esistenza di un mezzo di diffusione comunque accessibile ad una indefinita pluralità di utenti, per il cui tramite il soggetto agente mette a disposizione degli stessi materiale vietato o informazioni. Il riferimento alla condotta di pubblicizzazione si estende a tutte le possibili forme di diffusione di una informazione nei confronti di una pluralità o generalità di destinatari» ibidem; «Rientrano nella fattispecie di cui all’art. 600 ter c.p.: a) il commercio di materiale pornografico inerente i minori che richiede la predisposizione di un’attività di impresa, con adeguati strumenti di distribuzione, nella prospettiva di una offerta del prodotto destinata a durare nel tempo; b) la distribuzione, che si configura come forma particolare di commercializzazione, la quale deve ritenersi integrata dalla diffusione fisica del materiale mediante l’invio ad un novero, definito o meno, di destinatari; c) la divulgazione e pubblicazione, le quali richiedono sia che la condotta sia destinata a raggiungere una serie indeterminata di persone, con cui l’agente ha stabilito un rapporto di comunicazione, sia un mezzo di diffusione accessibile ad una pluralità di comunicazione, sia un mezzo di diffusione accessibile ad una pluralità di soggetti. La cessione occasionale, singolarmente effettuata (ex comma 4), del materiale è fattispecie per sua natura sussidiaria rispetto a quelle previste nei commi precedenti dello stesso art. 600 ter c.p., che non può trovare applicazione quando sussistano gli elementi per la operatività degli stessi. (Conseguentemente la Corte ha ritenuto che integrasse il reato di cui all’art. 600 ter comma 3 c.p. l’aver veicolato fotografie oscene di minori attraverso la rete Internet)» Cass. pen., Sez.III, 13/06/2000, n.2421 come massimata in Cass. Pen., 2002, 1041.

[64] A tale proposito la Suprema Corte ha ricordato che «La sussistenza della condotta di divulgazione di materiale fotografico a carattere pedofilo, rilevante ai sensi dell’art. 600 ter, comma 3, c.p., non può inferirsi dal solo fatto che le foto siano state veicolate attraverso internet, dovendosi distinguere, invece, l’ipotesi in cui la cessione sia avvenuta nel corso di un contatto con una singola persona determinata che sola poteva fruire delle immagini, rilevante ai sensi dell’art. 600 ter, comma 4, dal caso in cui le fotografie siano state cedute in un canale aperto a tutti gli utenti della rete, oppure inviate ad una pluralità di soggetti attraverso una serie di ripetuti contatti telematici» Cass. pen., Sez.III, 03/12/2001, n.3348 come massimata in Studium juris, 2002, p.801 ed in Foro It., 2002, II, p.639; Conf. Cass. pen., Sez.III, 03/12/2001, n.5397 come massimata in Riv. Pen., 2002, p.333 «Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 600 ter, comma 3, prima parte c.p. consistente nel fatto di chi «al di fuori delle ipotesi di cui ai commi 1 e 2, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga o pubblicizza il materiale pornografico di cui al comma 1» non può ritenersi sufficiente alla realizzazione di tale condotta il solo fatto che fotografie o messaggi pornografici attinenti a soggetti di età minore siano veicolate attraverso la rete Internet, occorrendo anche che da ciò derivi la possibilità per chiunque di accedere a detto materiale; mancando tale condizione, come si verifica nel caso in cui la foto o il messaggio vengano allegati ad un messaggio di posta elettronica inviato ad un determinato destinatario, può soltanto ritenersi configurabile la meno grave ipotesi di reato di cui al comma 4 del cit. art. 600 ter». Sul carattere residuale dell’ultimo comma dell’art.600-ter si veda Trib. Torino, 02/04/2001 in Giur. di Merito, 2001, p.1064 secondo cui «l’art. 600 ter comma 4 c.p., delinea una fattispecie residuale in cui trovano collocazione tutte le altre condotte di cessione, siano esse a titolo gratuito che oneroso, di materiale pornografico realizzato con lo sfruttamento sessuale di minori, che non rientrino nelle fattispecie di cui ai commi precedenti, cioè ai soli casi di cessione occasionale o sporadica, anche a titolo oneroso, attuata in favore di singoli e ben determinati soggetti, che non si inseriscano in una vera e propria attività di commercio o di indiscriminata diffusione a terzi, come la distribuzione, divulgazione o pubblicizzazione (nella specie, il tribunale ha escluso che la condotta materiale dell’indagato, consistente nello scambio per posta di materiale pedopornografico, fosse qualificabile come commercio, per l’assenza di un dimostrato fine di lucro, e ha proceduto alla riqualificazione della condotta nel reato di distribuzione di materiale pedopornografico di cui all’art. 600 ter comma 3 c.p., rilevando che si trattava di una ampia, continuativa attività di scambio e cessione, e quindi di diffusione, di tale materiale, attuata previa offerta effettuata per mezzo di annunci pubblicati su un giornale internazionale, in favore dei diversi soggetti che ne facevano richiesta, ciò desumendo da diversi indici significativi, quali la continuità nell’attività di acquisto e cessione, l’offerta ad un numero indistinto di soggetti di diversa nazionalità, la pluralità dei destinatari del materiale, l’esistenza di una, seppur minima, predisposizione di mezzi – quali, oltre alle inserzioni sul giornale internazionale, l’attivazione di un’apposita casella postale per gestire riservatamente il materiale pornografico oggetto di transazione – le qualità soggettive dell’indagato, già coinvolto in passato in un traffico di videocassette pedopornografiche)».

[65] «Integra gli estremi del delitto di divulgazione di materiale pornografico, ai sensi dell’art. 600 ter comma 3 c.p., e non di cessione del medesimo, ai sensi dell’art. 600 ter comma 4, c.p., il comportamento di chi per via telematica, attraverso un programma di «chat», diffonde fotografie pornografiche aventi ad oggetto minori» Cass. pen., Sez.III, 27/04/2000, n.1762 in Foro It., 2000, II, p.685. In particolare la Corte argomenta correttamente che «la condotta di divulgazione, in particolare, implica l’esistenza di un mezzo di diffusione comunque accessibile ad una indefinita pluralità di utenti, per il cui tramite il soggetto agente mette a disposizione degli stessi materiale vietato o informazioni in ordine ad esso ed il riferimento alla condotta di pubblicizzazione si estende a tutte le possibili forme di diffusione di una informazione nei confronti di una pluralità o generalità di destinatari.

La disposizione del 4° comma dell’art. 600 ter cod. pen. punisce, invece, le condotte occasionali di cessione di materiale pornografico realizzato mediante lo sfruttamento sessuale di minori, a qualsiasi titolo (pure personale e gratuito) essa sia operata.Trattasi di una fattispecie di reato per sua natura sempre sussidiaria rispetto a quelle previste dai primi tre commi, che non può trovare conseguentemente applicazione allorquando sussistano gli estremi per la operatività di essi.

Nella fattispecie in esame viene contestato all’indagato di avere scambiato fotografie pedo – pornografiche, attraverso le reti di INTERNET e mediante il programma MIRC di chat, nel canale «fotoporno» con utilizzazione del nick «Tino». Il collegamento a tale canale è comunque accessibile ad una indefinita pluralità di utenti e, successivamente, la comunicazione avviene esclusivamente con i soggetti presenti nell’area. Si configura, pertanto, divulgazione del materiale vietato, messo comunque a disposizione di un novero indefinito di destinatari». Conf. Cass. pen., Sez.III, 14/07/2000, n.2842 in cui, però, veniva osservato che «il dettato normativo richiede per tutte le ipotesi enunciate nel citato comma 3 la diffusione del materiale pornografico sicché, per la configurabilità del reato, non basta la cessione a singoli soggetti, ma occorre che l’agente propaghi il materiale interessando un numero indeterminato di persone, come nel caso in esame, in cui la cessione di fotografie pornografiche minorili è avvenuta in favore di più persone per via telematica attraverso una chat – line, sistema di comunicazione in tempo reale che permette agli utenti di scambiarsi messaggi e altre informazioni in formato digitale, e che é strutturato come uno spazio virtuale, suddiviso in tante stanze (canali) in cui diversi soggetti possono dialogare».

In relazione alla chat la Corte osservava che «la fase preliminare di accesso alla chat – line, prodromica allo scambio di dati o file, relativi a conversazioni, suoni, immagini, filmati, ed altro, all’interno dello stesso canale privato, riguarda la generalità degli utenti (presenti nelle medesima stanza o canale pubblico del server) interessati ad un argomento comune, sicché i successivi passaggi riguardanti l’individuazione dei partner fino allo scambio diretto delle informazioni non possono essere sganciati dalle iniziali procedure di accesso al sistema che consentono l’instaurazione di rapporti con un numero indeterminato di soggetti non previamente individuati, diversamente da quanto avviene nelle comunicazioni e – mail».

[66] In tal senso D.Minotti, I reati…, cit., 474 che osserva, invero correttamente, che «la chat, cui può partecipare un’indefinita pluralità di utenti, è soltanto un luogo di discussione tra più persone ove, però, l’eventuele scambio di file avviene in modo mirato, non indistinto, sempre e comunque verso soggetti determinati scelti dal mittente». Favorevoli alla tesi della Cassazione sembrano, invece, F.Boezio, M.D’Alessio, Internet e responsabilità…, cit., 286s.

[67] Cass. pen., 03/12/2001, n.5397, Sez.III.

[68] In particolare si osservava che, nella fattispecie concreata, il capo di imputazione non si limitava a contestare all’indagato di aver ceduto le foto nel corso di una discussione in un canale IRC, ma gli contesta di averle distribuite e divulgate effettuando la cessione «tramite una particolare procedura di collegamento che permette nel corso di una discussione di accedere e scambiare direttamente i documenti esistenti sul disco rigido di un interlocutore».

[69] Cassazione penale, sez. V, 11 dicembre 2002, n. 4900.

[70] Si tratta dell’Ordinanza del 16-04-2002 del Tribunale della Libertà di Trieste.

[71] Cfr. Cass. pen., , Sez.III, 03/12/2001, n.5397; Cass. pen., Sez.III, 14/07/2000, n.2842; Cass. pen., Sez.III, 27/04/2000, n.1762.

[72] «Ad integrare il numero indeterminato di persone non basta la considerazione che esso possa annidarsi in un nickname, anche a prescindere dall’onere della prova, che l’accusa non può assolvere con la mera evocazione di tale possibilità, perché altrimenti verrebbe ad ipotizzarsi il delitto in esame, piuttosto che, come ritenuto da Cass.5397\2001, quello più lieve, di cui al quarto comma, anche nel caso dell’invio della foto, allegata ad un messaggio di posta elettronica, ad un indirizzo determinato, dietro il quale ugualmente potrebbe allocarsi una pluralità di persone» Cass. pen., sez. V, 11 dicembre 2002, n. 4900.

[73] Cfr. Cass. pen., , Sez.III, 03/12/2001, n.5397, conf. Cass. pen., sez. V, 11 dicembre 2002, n. 4900.

[74] In tal senso G.Buonomo, Le responsabilità…, cit., 349.

[75] Art. 600-quater c.p. «Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste nell’articolo 600-ter, consapevolmente si procura o dispone di materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni diciotto è punito con la reclusione fino a tre anni o con la multa non inferiore a 1.549 euro».

[76] Cfr. G.Buonomo, Le responsabilità op. ult. cit., loc. cit.

[77] In tal senso si è espressa anche la senatrice Magistrelli in Commissione Speciale in materia di infanzia e di minori, che, nella seduta di martedì 25 febbraio 2003 osservava come «nell’articolo 600-quater c.p., in particolare, il secondo termine (cioè chiunque … dispone …) appare equivoco perché rischia di coinvolgere, in un sistema ampio e libero quale Internet, chiunque, anche solo per errore, capiti in un sito che contenga anche solo un’immagine equivoca ovvero siti che sono spesso mascherati con titoli che rimandano a tutt’altra materia. In particolare, il termine usato dalla norma consente di far rientrare in questa ipotesi di reato anche la semplice consultazione via internet di siti pedofili senza distinzione tra chi vi accede volutamente per la fruizione del materiale pornografico minorile e chi vi sia capitato casualmente, magari perché indotto in errore». La relatrice prosegue poi sottolineando l’importanza di definire in modo più chiaro la fattispecie di cui all’articolo 600-quater del codice penale sul concetto di detenzione e disposizione di materiale pornografico, in modo da introdurre una norma di garanzia nei confronti della infinita platea di indagati che solo incolpevolmente si sono imbattuti in un sito pedo-pornografico.

In un successivo intervento il Presidente della Commissione, sollevava la questione della detenzione per finalità studio e ricerca.

[78] Un criterio empirico, ma efficace, per discernere le due situazioni si fonda sulla quantità del materiale scaricato e sul tempo di permanenza all’interno del sito in modo da escludere tutti quei soggetti che, accortisi del contenuto hanno abbandonato le pagine con immagini pedo pornografiche. Ancora meglio sarebbe limitare le ricerche e le verifiche a chi accede alle pagine interne dei siti a pagamento (dove la tipologia del materiale è ben chiara sin dalle home page e l’accesso per errore è praticamente impossibile).

[79] Legge 15 febbraio 1996, n. 66 (in Gazz. Uff., 20 febbraio, n. 42). – Norme contro la violenza sessuale.

[80] Art.609-quater c.p.

[81] Art.600-bis c.p.

[82] Non si tratta di una mera ipotesi di scuola in quanto un simile fatto è recentemente accaduto a Perugia. Si tratta di un filmato pornografico girato da due ragazzi, la ragazza è sicuramente minorenne, e fatto circolare attraverso vari canali di file sharing.

«Lei è una ragazzina esile, 14 anni o giù di lì; lui il suo fidanzato, appena maggiorenne. E quel film porno che per gioco hanno girato sul divano del soggiorno è diventato un cult dei navigatori di mezzo mondo: qualcuno, quel filmino l’ha messo in Rete. La Procura di Perugia, città dei due ragazzi, ha già indagato 500 navigatori che l’hanno scaricato. / Ma TgCom ha scoperto che, nei meandri della Rete, il video continua a circolare. Il film dura una ventina di minuti, e riprende le effusioni amorose dei due ragazzi, senza censure e senza tagli. All’inizio lei cerca di rifiutarsi, non vuole farsi riprendere, non vuole che le scene di sesso con il fidanzato restino incise su un nastro magnetico. Ma poi lui la convince, e lei cede. / Quel filmino a luci rosse doveva essere una specie di gioco: nelle intenzioni di entrambi, andava cancellato dopo averlo rivisto. E invece, ora i due amanti perugini sono conosciuti in tutto il mondo. Pare che lui, dopo la rottura con la ragazza, per «vendetta» abbia fatto vedere il video ad alcuni amici. Ma qualcuno di loro l’ha duplicato in segreto e l’ha fatto vedere a qualcun altro… e alla fine qualcuno ha avuto l’idea di digitalizzarlo e, con il nome di «Forza Chiara – Porno amatoriale da Perugia», metterlo a disposizione di tutto il mondo su un portale dove, a pagamento, si poteva scaricare. / E lei, per la vergogna, per un periodo non ha più nemmeno frequentato la scuola. Il tutto è successo più di un anno fa: da tanto il video circola in Rete. Ma ora si scopre che la Procura di Perugia ha aperto un’inchiesta: il ragazzo, accompagnato dai genitori, è stato più volte ascoltato dai magistrati (ai quali ha detto di non essere stato lui a diffondere il nastro) e già sul registro degli indagati sono finiti i nomi di almeno cinquecento persone che, in tutta Italia, hanno scaricato il file da quel portale dove era stato messo a disposizione: l’accusa contro di loro è quella di detenzione di materiale pedopornografico, perché la protagonista del film, nonostante non lo dimostri, è poco più di una bambina. All’inizio delle indagini, la polizia postale umba e la Digos hanno iniziato a controllare il portale dal quale si poteva scaricare il filmato. E tutti coloro che l’hanno fatto sono stati individuati e denunciati. Dopodiché, tutte le copie del film hard sono state sequestrate e cancellate. «Per sempre», dicono gli investigatori. / Ma non è così: in realtà, ha scoperto TgCom, ci sono ancora migliaia di copie del film che circolano sulle autostrade elettroniche: nei circuiti peer-to-peer (cioè quelli in cui, grazie ad appositi programmi, ci si scambia file direttamente tra utenti senza passare da un server di Rete: Napster ne è stato il progenitore) basta fare una semplice ricerca ed ecco che decine di link conducono direttamente agli hard disk di chi il film ce l’ha e se lo tiene stretto. / E la dimostrazione che copie delle performance amorose dei due ragazzi abbia fatto il giro del mondo è nei newsgroup: anche qui basta fare una ricerca per accorgersi che centinaia di persone in tutto il mondo hanno visto il film e lo hanno recensito sul web» dal sito TGcom, articolo del 13/09/2002.

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