Diritto, informatica e dintorni

Avv. Emanuele Florindi - Docente a contratto di Diritto dell'Informatica e di Informatica forense -

2009 – Pedopornografia on-line

Ripropongo qui, senza integrazioni o modifiche, un mio articolo pubblicato in «Telediritto.it: Portale giuridico umbro», Informatica giuridica, dottrina, 2009.

Pedopornografia on-line*

Sommario: 1. Internet e pedofilia – 2. Fruitori e produttori – 3. Cenni di criminologia – 4. L’articolo 600-ter –  5. …segue: divulgazione, diffusione e cessione – 6. …segue: il file sharing – 7. La detenzione di materiale pedo pornografico – 8. Autoproduzione da parte di minori

  1. Con il termine “pedofilia”, si è spesso indicato un insieme estremamente vario di reati contro l’infanzia[1], che, se vogliamo davvero comprendere, dobbiamo analizzare nel dettaglio, sia pure limitatamente al fenomeno della “pedopornografia on-line[2] e degli effetti della legge 269 del 1998[3].

L’universo dei pedofili non è, infatti, una massa granitica e comune, come a volte si è tentati di immaginare, ma rappresenta piuttosto lo specchio costante e fedele della nostra società in tutte le sue sfaccettature[4]: non esiste il “pedofilo”, ma varie tipologie di individui, tutti con caratteristiche e perversioni proprie[5].

Questi possono operare nella vita reale come in rete, esattamente al pari di qualsiasi altro soggetto, creando gruppi di incontro ed avvalendosi della tecnologia per raggiungere i propri fini con la minima esposizione personale. Per tale ragione, è necessario procedere identificando, sia pure in maniera sommaria, le varie classi di appartenenza, pur nella consapevolezza che i confini di ogni gruppo sono spesso sfumati tanto che l’appartenenza ad uno non esclude necessariamente l’appartenenza ad altri differenti gruppi.

In genere, si tratta di criminali, che agiscono cercando e contattando le proprie vittime secondo metodi e modalità già ampiamente studiati dalla moderna criminologia[6]: le “prede” vengono quasi sempre scelte tra i figli (propri, di parenti, di vicini di casa o amici) o, comunque, tra i bambini che si ha modo di frequentare per lavoro o grazie ad altre attività (insegnanti, educatori, sacerdoti, allenatori e simili), scegliendo quelli soli o isolati, su cui è facile esercitare un forte ascendente; raramente ricorrono alla forza o alla brutalità per ottenere ciò che desiderano, preferendo circuire e soggiogare psicologicamente le vittime; molto raro il caso del “mostro” che rapisce, sevizia ed uccide vittime casuali.

Vi sono, poi, quei soggetti che sfruttano sessualmente i bambini senza essere pedofili: si tratta di coloro che, attratti dagli ingenti guadagni che la pedofilia è in grado di garantire, sono coinvolti a vario titolo nella realizzazione e distribuzione del materiale destinato a questo circuito in qualità di fotografi, registi, tecnici dei siti web e simili[7].

Si tratta di una categoria di criminali, se possibile, ancora più pericolosa, in quanto vede nei bambini soltanto un mezzo di facile e rapido guadagno, da sfruttare in maniera imprenditoriale, organizzandosi in vere e proprie multinazionali della pedofilia. Queste attività sono più strettamente legate ad internet, visto soprattutto come strumento per la diffusione del “materiale” e per stringere dei contatti in maniera sicura. La diffusione delle reti telematiche ha, infatti, fornito a questi soggetti un ottimo strumento per acquistare o vendere il loro prodotto senza alcun limite geografico, riducendo notevolmente il rischio legato all’offerta, alla vendita ed alla consegna dello stesso; è, comunque, opportuno ricordare che internet viene vista, ed utilizzata, prevalentemente come mezzo di marketing[8].

È importante, infatti, evidenziare come il suo utilizzo principale sia in funzione dello scambio\acquisto\vendita di materiale pedopornografico, piuttosto che ricerca di un contatto vero e proprio con bambini da adescare[9]. Questo, naturalmente, non significa che non vi siano rischi: tale ipotesi di reato, pur se infrequente, non è affatto impossibile in quanto si sono, comunque, verificati casi in cui si sono rilevati tentativi di contatto ovvero molestie[10].

Una preoccupante evoluzione del fenomeno è, però, rappresentata dalla diffusione dei cosiddetti “social network” e dei cosiddetti “videofonini”; soprattutto questi ultimi hanno dato vita ad un’ingente quantità di materiale pedo pornografico, spesso autoprodotto e ceduto dagli stessi minori protagonisti in cambio di ricariche per il cellulare o di altro materiale[11].

  1. Esattamente come nella vita reale, i crimini contro i bambini che avvengono in internet si ripartiscono tra quelli commessi dai consumatori (che alimentano il mercato della pedo pornografia e dello sfruttamento acquistando il materiale, praticando il turismo sessuale e con attività di altro genere) e quelli commessi dai produttori che possono essere produttori-consumatori ovvero produttori-professionisti.

Proprio questi ultimi sono molto spesso legati alla criminalità organizzata, attirata dai fortissimi guadagni che questo mercato permette; nelle autostrade telematiche il fenomeno della pedofilia si muove lungo corsie che spesso si incrociano: una prima composta da un sottobosco di soggetti che vendono, più spesso scambiano, materiale pedo pornografico ottenuto con i più svariati metodi, anche auto prodotto, attraverso il sistema delle chat in tempo reale o del cd file sharing[12], mentre una seconda è rappresentata dal web del pedo porno professionale. Si tratta di siti internet realizzati da soggetti che ben possono essere definiti “professionisti” della pornografia infantile; webmaster, che realizzano e gestiscono siti a pagamento destinati ad un pubblico sempre più spesso disposto a pagare profumatamente per acquistare il diritto di accedere a materiale sempre nuovo e sempre differente.

Il fenomeno è legato alla rapidissima evoluzione, per dimensioni, accessi, contenuti e tecnologie, della realtà rappresentata da Internet: con essa non solo emerge e si manifesta in ogni suo aspetto, ma si sviluppa e si articola in forme sempre nuove e più complesse, generando conseguentemente un’esigenza almeno di pari intensità sul fronte del monitoraggio, del coordinamento e degli interventi.

Peraltro, proprio la diffusione di Internet a livello mondiale, e le possibilità di comunicazione multimediale che offre ad un pubblico di utenti sempre più vasto, ha indotto l’emersione del fenomeno pedofilo, dapprima limitata e strisciante nelle parti maggiormente underground della rete ed oggi molto più vasta ed aggressiva sul fronte del pedo business[13] e dei cosiddetti siti “pedo-free”, con una sempre maggiore presenza delle attività di promozione, scambio di informazioni, contatti, diffusione della cosiddetta “pedo-cultura” e nell’uso di supporti tecnologici per la migliore protezione dell’anonimato delle attività illecite[14].

In particolare, il cosiddetto pedo business si è sviluppato, ed ha affinato le proprie modalità di azione, spesso con un tasso di crescita molto più che proporzionale rispetto al già elevatissimo tasso di sviluppo complessivo del fenomeno della pedofilia online; questo significa che si è ingigantito il terribile e tristissimo meccanismo economico di produzione, offerta e consumo, laddove l’esigenza di arricchire i contenuti dei siti a pagamento, e battere la concorrenza, alimenta in misura sempre maggiore il circuito perverso e criminale della domanda di nuovi materiali e della loro produzione nonché del riciclaggio della “merce”, non più fresca ed ormai inutile, nel mercato della prostituzione minorile e, forse, anche in quello del traffico degli organi.

È stato agevole per i criminali comprendere che ogni nuova partita induce un picco di domanda e non può sfuggire che il circuito perverso del meccanismo si chiude con la ricerca sistematica di nuovo “materiale” e di nuove produzioni[15]. L’aspetto atroce, che, tuttavia, a volte sembra essere ignorato da coloro che minimizzano la pedo pornografia on-line, è che la “merce virtuale” disponibile nei siti è composta da bambini reali e che ad ogni nuova produzione, ad ogni nuova “serie” corrisponde una vita distrutta per sempre[16].

Ancora più drammatico è il fatto che questo “business” venga portato avanti utilizzando tutte le forme più evolute di marketing e di vendita come se si trattasse di un qualsiasi bene di consumo, quotidianamente acquistato da centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo, fra le quali migliaia di italiani.

Proprio con riguardo all’aspetto del pedo hard business (che rappresenta oggi la punta di diamante del fenomeno della pedofilia online), esiste, a tutt’oggi, un larghissimo, e per certi versi drammatico, “debito di intervento”; le azioni poste in essere a livello nazionale e sopranazionale per tentare di colmarlo si sono spesso rivelate insufficienti, soprattutto a causa dell’erroneo convincimento che possa esistere, ed essere sufficiente, una qualche “ricetta legislativa” o le azioni per quanto ripetute, ma sempre sporadiche, contro qualche sito.

  1. Prima di poter pensare ad una soluzione è necessario tentare di comprendere l’effettiva portata del fenomeno, ma, prima ancora di iniziare a cercare le possibili risposte che possono essere date a questo problema, dobbiamo capire quali sono le domande che dobbiamo porci: la risposta al dilagare del fenomeno pedofilo implica, infatti, la necessaria presenza di più attori che, con un insieme di interventi e di strumenti diversi, consenta di contrastare realmente ed efficacemente le crescita e la diffusione del commercio pedo-pornografico.

Il fenomeno della pedofilia in internet è, infatti, estremamente complesso; esso difficilmente può essere raccontato, illustrato, descritto, analizzato se non lo si è preliminarmente “vissuto”. In primo luogo deve osservarsi che la presenza pedofila nella grande rete, contrariamente a ciò che comunemente si potrebbe pensare, non è quasi mai appiattita sulla figura del maniaco-criminale isolato, ma si fonda sulla creazione di vere e proprie comunità allargate e molto ben stratificate: la comunità mondiale è composta da molte altre comunità (sovranazionali, nazionali e locali), spesso strettamente collegate tra di loro e attivamente organizzate, tanto che, navigando in internet, non è affatto difficile imbattersi nella comunità europea, in quella statunitense, olandese, russa e, naturalmente, italiana.

A loro volta, queste comunità possono essere divise in altre comunità più piccole, che tendono a raccogliersi stabilmente intorno a luoghi virtuali, che ne agevolano le attività; si tratta di communities, club, BBS specializzate, chat tematiche etc, ognuna con proprie regole, acronimi, linguaggi[17].

Sono numerose, infatti, le comunità in cui è possibile trovare una grande quantità di materiale di “supporto”: messaggi interessanti, indirizzi segreti, nuovi siti a pagamento,  password per siti a pagamento, notizie relative ad arresti oppure all’evoluzione legislativa (spesso con i suggerimenti per possibili scappatoie), trucchi per navigare in maniera anonima e sicura, per pulire a fondo il proprio hard disk e per nascondere immagini e filmati senza lasciare tracce.

In effetti, uno dei maggiori errori in relazione alla pedofilia è quello di credere all’immagine stereotipata del pedofilo telematico solo ed isolato: questi non è mai solo, a meno che non sia lui a volerlo[18].

In questi gruppi è possibile trovare le figure di riferimento, rappresentate dagli ideologi, dai tecnici, dai commercianti, dagli avvocati, dagli esperti informatici, dai fotografi, dagli industriali, ma anche la massa dei fruitori.

Non si deve, quindi, cadere nell’errore, invero piuttosto comune, di ritenere tali comunità mere “bacheche virtuali” in cui scambiare o acquistare materiale nuovo; molto spesso rappresentano anche luoghi di incontro, di formazione, di informazione e di consiglio, fino ad arrivare a quelle in cui si rivendica il diritto naturale del pedofilo di vivere liberamente la propria sessualità[19], avendo “normali” relazioni con i bambini. Tale pretesa viene basata su basi psicologiche, morali e storiche arrivando sempre più spesso ad affermare di essere “vittime innocenti”, dapprima di un’opera di seduzione posta in essere dal bambino stesso, e, successivamente, di sanzioni e pene volute da una società sessuofobica e razzista[20].

Vi sono, poi, intellettuali, che talora trovano spazio sul teleschermo e sulla stampa[21], i quali, anche soltanto per il gusto di provocare e scandalizzare, esaltano la ricerca di un’infanzia diversa, emancipata, nella quale la sessualità non venga soffocata dall’ipocrisia sociale. In realtà non fanno altro che auspicare un’emancipazione dalle proibizioni che ostacolano il potere di seduzione di un adulto nei confronti dei giovanissimi, potere che si instaura in una relazione innegabilmente asimmetrica e narcisistica, in quanto l’altro è comunque manipolato e considerato come mero oggetto per raggiungere uno scopo[22].

Le argomentazioni utilizzate sono molteplici e, anche se non sempre brillano per la loro logica, una tale massiccia campagna di opinione non può, e non deve, essere ignorata, stante la facilità con cui è possibile insinuare nel grande pubblico, e non soltanto tra i soggetti più ingenui[23], il dubbio che quella dei pedofili sia effettivamente una categoria “discriminata”, ingiustamente sottoposta a vessazioni solo in ragione del proprio orientamento sessuale[24].

In altre occasioni si cerca, invece, di fare leva direttamente sul timore del piccolo di restare solo, abbandonato e senza amici, con il suggerimento, nemmeno tanto velato, di non raccontare mai nulla a nessuno e di negare sempre tutto quanto accaduto, per non essere lasciato solo. È facile comprendere quanto queste affermazioni possano generare in lui confusione e sensi di colpa che, uniti al fortissimo timore di essere “scoperto” e di vedere il proprio segreto rivelato, innescano un procedimento che lo porta a colpevolizzare soprattutto se stesso per ciò che è accaduto[25].

Per un minore è, infatti, naturale essere curioso, interrogarsi ed interrogare gli altri, anche a proposito del sesso, ma una cosa è fantasticare, anche dedicandosi a giochi sessuali da solo o con i suoi coetanei, ben altro è, invece, trovarsi di fronte alla sessualità di un adulto[26].

Contrari a tale teoria anche alcuni “intellettuali” che affermano doversi considerare abuso solo quelle situazioni in cui il bambino viene costretto a partecipare, contro la sua volontà, all’atto sessuale; si arriva a sostenere che questi, anche se piccolo, è perfettamente in grado di prestare o meno il suo consenso[27]. I pedofili, proiettano i propri sentimenti e desideri sul loro piccolo partner, si convincono di procurargli piacere, di essere stati provocati, vittime passive di un gioco di seduzione, operando, in tal modo, un totale processo di negazione della realtà. L’intensità e il calore affettivo del bambino vengono fraintesi come invito sessuale e, partendo dal presupposto di aver agito nel suo interesse, la responsabilità di qualsiasi conseguenza negativa, viene addossata alla società: gli effetti dannosi sarebbero provocati esclusivamente dal dovere mantenere il segreto e dalla stigmatizzazione sociale delle relazioni pedofile[28]!

Non può, infine, trascurarsi un utilizzo strumentale di un’arte troppo spesso adibita a comodo paravento, per produzioni che di artistico hanno ben poco, in cui fanciulli e fanciulle giovanissimi assumono le vesti di consapevoli seduttori, fino ad essere impiegati in esplicite scene erotiche[29].

Non è certo un caso se, negli ultimi anni, si è assistito ad un moltiplicarsi di siti dedicati ai film con bambini; siti spesso frequentati anche da soggetti che non si ritengono pedofili. Quest’ultima categoria, che merita una particolare attenzione, è composta dai benpensanti, dagli snob, dai “cultori” della bellezza infantile che, sotto una maschera di arte, amore, dolcezza bramano un contatto, che teorizza (e spesso pratica!) una piena espressione della “sessualità” infantile, guardando i bimbi e le bimbe con occhi “diversi”, che esprimono pensieri, intenzioni, tentazioni che definire inquietanti è sicuramente un eccesso di eufemismo. Spesso si tratta di persone che, comunque, frequentano stabilmente le comunità pedofile e che, nella rete, pubblicano siti inneggianti al culto della bellezza infantile.

Vi sono, poi, le numerose comunità dedicate alle varie perversioni[30]! Sebbene possa essere difficile immaginare una parte perversa della perversione pedofila, è bene sapere che  questa esiste e, talora, è tanto scatenata da suscitare le rimostranze degli pseudo-normali!

In conclusione, è necessario affrontare, e smentire, due pericolosissimi luoghi comuni sulla pedofilia.

Il primo, secondo cui il pedofilo telematico non sarebbe un vero pedofilo, ma un semplice “voyeur”. In altre parole, si tratterebbe di individui meno pericolosi dei pedofili “reali”, che abitano e vivono nel mondo “vero”, quasi a configurare una categoria di criminali platonici. Una variante di questo diffuso luogo comune, è che la maggior parte dei soggetti che vengono arrestati nel corso delle varie operazioni di contrasto alla pedofilia, siano frequentatori casuali, smanettoni malcapitati, semplici curiosi o, nella peggiore delle ipotesi, perversi generici alla ricerca di emozioni forti. Quasi ad immaginare, nel peggiore dei casi, un tipo di “pedofilo non pedofilo”, ovvero una persona normale, o quasi normale, che, per gusto di trasgressione, cerca, e trova, nei siti pedofili e nelle altre occasioni pedofile offerte dalla grande rete, una risorsa per soddisfare il proprio bisogno di esperienze estreme.

Il secondo luogo comune è quello secondo cui le immagini e i video pedofili che si trovano in internet sono nella maggior parte dei falsi ed i materiali veri sono rarissimi e girano in modo segretissimo solo tra i veri, e altrettanto pochi, pedofili che usano internet. Questo secondo, diffusissimo, luogo comune si manifesta costantemente in un atteggiamento di incredulo stupore, quando non si raggiungono punte di aperta ostilità, di fronte alle fonti che indicano la reale quantità e varietà del materiale pedofilo in circolazione, laddove l’incredulità è spesso tale da raggiungere un’ottusità che porta a negare l’evidenza, anche di fronte a prove concrete.

Non ci vuole molto a comprendere che all’origine di questi luoghi comuni ci siano meccanismi fortissimi, per quanto infondati e “svianti”, di negazione del fenomeno o, comunque, di riduzione dello stesso a proporzioni in qualche misura umanamente e socialmente tollerabili.

I due più diffusi luoghi comuni sulla pedofilia in internet hanno, quindi, un significato comune e preciso, dal quale non può prescindere qualsiasi iniziativa di contrasto al fenomeno e sul quale, in tutta evidenza, è indispensabile operare una riflessione attenta; entrambi corrispondono ad un atteggiamento mentale tendente alla rimozione del problema[31]; atteggiamento tipico, d’altronde, delle persone normali, a fronte di un’abiezione troppo grande per essere accettata, ed apertamente incoraggiato dalle stesse organizzazioni pedofile che hanno tutto l’interesse a minimizzare il più possibile il fenomeno al fine di far apparire i propri aderenti come dei “perseguitati”.

Ovviamente, nulla di tutto questo è vero: il pedofilo “virtuale” prima di essere virtuale è un pedofilo e, purtroppo, non si tratta soltanto un gioco di parole. Dare credito alla tesi del pedofilo on line come pedofilo innocuo, voyeur, del tutto immateriale sarebbe come affermare che i fruitori dei materiali sessuali per adulti in internet non hanno una vita sessuale reale: si tratta di un’affermazione insostenibile[32]!

Anche l’estensione del primo luogo comune è tristemente falsa. I dati sulla frequenza assidua – spesso pluriquotidiana – di molte migliaia di persone (si intende italiani, altrimenti bisognerebbe parlare di centinaia di migliaia) nei siti che offrono materiali pedo-pornografici a pagamento, ognuna delle quali scarica centinaia di foto e filmati di questo tipo, non si concilia affatto con l’idea del semplice curioso e nemmeno con quella del soggetto trasgressivo o perverso che cerca di superare, in maniera virtuale, i limiti del lecito e del normale. Diversamente si concilia benissimo con l’idea del pedofilo, a cui la tecnologia ha finalmente consentito di accedere a materiali un tempo di difficilissimo reperimento e di un pedofilo che dimostra in pieno la natura compulsiva ed ossessiva della propria devianza sessuale, ovvero di un pedofilo del tutto classico, a cui internet ha reso solo più facile l’esercizio della propria pulsione[33].

Il tutto senza considerare le vie alternative di diffusione e di scambio dei materiali pedo-pornografici o delle informazioni relative al loro reperimento rappresentate dal peer to peer, dagli strumenti di comunicazione personale e di chatting, dai newsgroups, dalle bbs e da ogni altro mezzo che la grande rete mette a disposizione[34]. Il numero di pedofili che accedono sistematicamente alle risorse loro offerte da internet, da un lato, e la quantità/qualità dei materiali pedo-pornografici in circolazione sono oggi oggettivamente in crescita, con un tasso di sviluppo purtroppo notevolmente superiore a quello di internet e dei suoi contenuti. Questo dato, contraddice ampiamente, se mai ce ne fosse bisogno, l’idea di un fenomeno limitato, in regressione e comunque in qualche modo sotto controllo, ma ci dà il polso di una situazione esattamente opposta. La pedofilia on line ha avuto, tuttavia, l’innegabile “merito” di aver contribuito all’emersione di un fenomeno sotterraneo e di aver posto in piena evidenza l’ampiezza del fenomeno.

  1. Il nostro Paese, già impegnatosi aderendo alla Convenzione sui diritti del fanciullo[35], agendo sull’onda emotiva dei gravissimi episodi di pedofilia accaduti in Belgio[36] e preso atto dell’assoluta carenza normativa[37] che aveva creato non pochi problemi in sede giudiziaria, si è dato, nel 1998[38], una specifica disposizione di legge destinata a combattere efficacemente la diffusione del materiale pedo pornografico; purtroppo, detta norma mostrava molti dei “sintomi” tipici della legislazione dell’emergenza e, in particolare, una poco oculata scelta dei termini[39].

Oggi la situazione è parzialmente migliorata, soprattutto grazie alla novella legislativa del 2006[40], ma resta ancora molto lavoro da fare.

Mancano, infatti, delle definizioni precise in grado di aiutare l’interprete ad applicare la normativa nel migliore dei modi, soprattutto in relazione a termini[41] che, da sempre, hanno generato dubbi in dottrina e giurisprudenza.

Esemplare, a tale proposito, era l’articolo 600-ter titolato “Pornografia minorile” che, prima della novella del 2006, al primo comma recitava: “[I]. Chiunque sfrutta minori degli anni diciotto al fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da 25.822 euro a 258.228 euro”. Non soltanto il termine “sfrutta”, utilizzato dal legislatore invece del più corretto “utilizza[42] ha creato non pochi problemi agli interpreti, tanto da determinare la rimessione della questione alle Sezioni Uniti della Corte di Cassazione sin dalla sua prima apparizione presso il Palazzaccio[43], ma anche la stessa definizione di “pornografia” non si è rivelata affatto semplice.

Con la sentenza qui in esame, la Corte decideva sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Biella, nel procedimento cautelare a carico di XY[44]. In particolare il giudice del riesame non aveva ravvisato nella fattispecie il reato di pornografia minorile, posto che le fotografie, raffiguranti il minore nudo e con il pene in erezione, ammesse dallo stesso indagato, erano state realizzate non per fine di lucro, ma per ragioni affettive o libidinose, mentre il termine utilizzato dal legislatore avrebbe lasciato intendere uno sfruttamento del minore per fine di lucro o, comunque, con ricaduta economica.

Avverso detta ordinanza[45], proponeva ricorso per cassazione il Procuratore presso il Tribunale di Biella, deducendo erronea interpretazione dell’art. 600 ter, comma 1, c.p. in quanto il reato de quo deve ritenersi integrato dallo sfruttamento dei minori di anni diciotto per realizzare esibizioni pornografiche o per produrre materiale pornografico, indipendentemente da qualsivoglia finalità lucrativa.

Il ricorrente osservava poi che la norma, richiamandosi alla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, aveva inteso tutelare il diritto dei minori ad un libero e naturale sviluppo fisico, psicologico, spirituale e morale; sicché il termine di sfruttamento doveva intendersi in senso ampio, ivi compreso il loro impiego per fini pornografici, giacché il solo fatto di impiegare dei fanciulli al fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico[46] significa, per ciò solo, sfruttarli.

Sul tema non risultavano pronunce giurisprudenziali da parte della Corte mentre in dottrina si riteneva, con orientamento nettamente maggioritario, che per l’integrazione del reato fosse necessaria l’utilizzazione di più minori con finalità lucrativa o commerciale, o comunque con ricaduta economica, sicché il mero soddisfacimento della lussuria privata dell’agente esulerebbe dalla condotta al pari dell’impiego di un “solo” minore[47].

Le Sezioni Unite ritenevano tali argomenti non particolarmente approfonditi e, soprattutto, non decisivi. In particolare veniva criticato il fatto che, in sostanza, ci si riducesse ad una mera analisi semantica, sia valorizzando l’uso legislativo del plurale per indicare i soggetti passivi del reato “minori”, sia facendo riferimento al verbo “sfruttare” nel suo significato di “utilizzare economicamente” o, addirittura, di “utilizzare in modo imprenditoriale”[48].

In realtà, per una corretta interpretazione della norma, il canone semantico deve necessariamente essere integrato con gli altri criteri ermeneutici tradizionali; per tale ragione, non si può omettere di analizzare la suddetta norma alla luce della circostanza che, per contrastare il fenomeno sempre più allarmante dell’abuso e dello sfruttamento sessuale in danno di minori, il legislatore del 1998 ha voluto punire, oltre alle attività sessuali compiute con i minori o alla presenza di minori[49], anche tutte le attività che, in qualche modo, sono prodromiche e strumentali alla pratica della pedofilia; come l’incitamento della prostituzione, la diffusione della pornografia e la promozione del cosiddetto “turismo sessuale” a danno dei fanciulli[50].

A tal fine, oltre alla preesistente tutela penale della libertà sessuale del minore, è stata introdotta nel nostro ordinamento anche una tutela penale anticipata volta a reprimere quelle condotte preparatorie che mettono a repentaglio il suo libero sviluppo personale, mercificandone il corpo e immettendolo nel circuito perverso della pedofilia. Per tale ragione, la Suprema Corte riteneva integrato il reato de quo ogni qualvolta la condotta dell’agente avesse implicato un concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto; non appariva, infatti, possibile realizzare esibizioni pornografiche se non attraverso l’offerta del bambino alla visione perversa di una cerchia indeterminata di utenti; così come, per attrazione di significato, produrre materiale pedo pornografico sembra voler dire produrre materiale destinato ad essere immesso nel mercato della pedofilia[51].

Sulla base dell’art. 14, la Cassazione affermava, poi, che il legislatore non avrebbe pensato a strumenti straordinari di contrasto, quali l’acquisto simulato del materiale e il ritardo nell’emissione o esecuzione delle misure cautelari, se non avesse ritenuto come scopo della tutela penale quello di contrastare la diffusione nel mercato della pornografia minorile; o, più esattamente, non avrebbe logicamente introdotto gli anzidetti strumenti di contrasto, se il reato che intendeva reprimere fosse stato solo quello della produzione di pornografia minorile, indipendentemente dal pericolo concreto che questa pornografia fosse poi diffusa o divulgata. La Corte concludeva, infine, nel senso che, salvo l’ipotizzabilità di altri reati, “commette il delitto di cui all’art. 600 ter, comma 1, c.p., chiunque impieghi uno o più minori per produrre spettacoli o materiali pornografici con il pericolo concreto di diffusione del materiale pornografico prodotto” ravvisando proprio in quest’ultimo aspetto l’elemento oggettivo del reato[52].

Notevoli problemi ha creato anche l’assenza di una definizione in grado di esplicitare il significato della parola “pornografia” laddove lo stesso non è affatto pacifico. In particolare la questione è già stata sottoposta al vaglio della Corte, che ha ritenuto fondato il motivo di ricorso con cui veniva eccepito che una delle foto inviate dall’imputato al suo interlocutore non poteva in alcun modo considerarsi come pornografica, in quanto si limitava a ritrarre due soggetti nudi e quindi aveva, semmai, un semplice contenuto erotico.

Il problema della definizione di “materiale pornografico” rappresenta, probabilmente, il principale ostacolo da superare per poter arrivare ad un’individuazione certa delle fattispecie sanzionate. È opinione di chi scrive che, stante la necessaria maggior tutela dei minori, sono da ritenersi pornografiche anche mere immagini di nudo, laddove le stesse siano inserite in un contesto tale da renderne evidente la funzione di stimolo sessuale: più precisamente si ritiene che tale debba essere ritenuto tutto quel materiale che, per modalità di ripresa, collocazione ed organizzazione ha la chiara e prevalente funzione di eccitare sessualmente un individuo. Nell’ambito dell’applicazione della legge, si dovrà, pertanto, prendere in considerazione non soltanto l’immagine in sé e per sé, ma anche l’intero contesto in cui la stessa si trova anche al fine di evitare situazioni abnormi e vessatorie[53].

Allo stesso modo, dovrebbero essere  ritenuti illeciti anche i cosiddetti siti “non nude[54], in cui si propongono le immagini di giovanissime modelle in inequivocabili atteggiamenti erotici o eroticizzanti, i siti specializzati in “undressing”, fotografie di bambini in indumenti intimi ovvero in fotografie “rubate” di bambini in situazioni in cui è possibile intravederne gli indumenti intimi e tutti quei siti specializzati nella vendita o nello scambio di immagini di bambini acquisite da film, pubblicità o serial Tv[55].

  1. Il secondo comma dell’articolo 600 ter, stabilisce che la pena prevista dal primo comma[56] si applica anche a chi commercia il materiale prodotto attraverso l’impiego dei minori, mentre il terzo comma[57] è quello che ha sollevato le maggiori perplessità in dottrina e giurisprudenza.

Sarebbe fin troppo semplice fare della facile ironia sull’illogicità di quell’inciso “anche per via telematica”, se non si trattasse di un indice dell’assurda demonizzazione di internet da parte del legislatore del 1998[58] e se non aprisse la via a conseguenze non desiderate e, di certo, non desiderabili. In particolare, come acutamente osserva Buonomo “qualcuno potrebbe ritenere maliziosamente (utilizzando il noto criterio ermeneutica “ubi noluit non dixit” che il commercio di materiale pornografico punito al comma secondo dello stesso articolo non possa essere commesso “anche per via telematica”, perché questa espressa previsione è contemplata soltanto dal terzo comma…”[59]. In realtà si tratta di una mera provocazione, ma è sintomatica dell’attenzione che dovrebbe richiedere la redazione di un testo di legge di tale portata[60].

Ben più grave, è l’inspiegabile omissione del requisito della “consapevolezza” o “volontarietà” della condotta che, come ha rilevato la dottrina apre la porta a preoccupanti ipotesi di responsabilità oggettiva da parte degli ISP[61].

 Osserva, infatti, Cammarata[62] che, se leggiamo con attenzione le tre ipotesi del terzo comma, possiamo agevolmente verificare che accanto a chi “divulga” ed a chi “pubblicizza” è punito anche il soggetto che “distribuisce” e, a seguito della novella del febbraio 2006, “diffonde” il materiale proibito[63].

Non pochi problemi ha, infine, causato l’individuazione delle fattispecie di “divulgazione” e “pubblicizzazione” del suddetto materiale, soprattutto in relazione alla condotta della “cessione” prevista dal successivo quarto comma, in particolare quando ci si trova a doverle applicare al mondo delle reti telematiche[64].

Nel corso degli anni, giurisprudenza e dottrina hanno fissato criteri e linee guida relativamente alle differenze tra le varie condotte sanzionate dal terzo comma se rapportate con l’ipotesi criminosa prevista e punita dal quarto, con una particolare attenzione a quanto avviene in internet.

La giurisprudenza ha permesso di chiarire che “la condotta di distribuzione del materiale pedo-pornografico deve ritenersi integrata dalla diffusione fisica del materiale medesimo, mediante invio di esso ad un novero, predefinito o meno, di destinatari”[65], “ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 600 ter comma 3 c.p. (distribuzione, divulgazione o pubblicizzazione del materiale pornografico di cui al precedente comma 1 con qualsiasi mezzo, anche in via telematica), se da una parte non basta la cessione di detto materiale a singoli soggetti, dall’altra è sufficiente che, indipendentemente o meno dalla sussistenza del fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre il relativo materiale, questo venga propagato ad un numero indeterminato di destinatari, come, ad esempio, si verifica nel caso in cui venga effettuata la cessione a più persone di fotografie pornografiche di minori mediante l’uso di una c.d. chat line (sistema di comunicazione in tempo reale che permette agli utenti di scambiarsi messaggi ed altre informazioni in formato digitale e che è strutturato come uno spazio virtuale, suddiviso in tante stanze (canali) in cui diversi soggetti possono dialogare)”[66].

E’ stato, poi, osservato che “le condotte di divulgazione e pubblicizzazione sono punite in quanto costituiscono attività idonee ad incrementare la domanda del materiale stesso, agevolando ed accrescendo il volume della circolazione di esso” per poi procedere alla definizione della condotta di divulgazione, individuata come quella che “implica l’esistenza di un mezzo di diffusione comunque accessibile ad una indefinita pluralità di utenti, per il cui tramite il soggetto agente mette a disposizione degli stessi materiale vietato o informazioni”[67].

Nel corso degli anni, la giurisprudenza ha specificato che “la sussistenza della condotta di divulgazione di materiale fotografico a carattere pedofilo, rilevante ai sensi dell’art. 600 ter, comma 3, c.p., non può inferirsi dal solo fatto che le foto siano state veicolate attraverso internet, dovendosi distinguere, invece, l’ipotesi in cui la cessione sia avvenuta nel corso di un contatto con una singola persona determinata che sola poteva fruire delle immagini, rilevante ai sensi dell’art. 600 ter, comma 4, dal caso in cui le fotografie siano state cedute in un canale aperto a tutti gli utenti della rete, oppure inviate ad una pluralità di soggetti attraverso una serie di ripetuti contatti telematici”[68] chiarendo anche che “ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 600 ter, comma 3, prima parte c.p. [omissis] non può ritenersi sufficiente alla realizzazione di tale condotta il solo fatto che fotografie o messaggi pornografici attinenti a soggetti di età minore siano veicolate attraverso la rete Internet, occorrendo anche che da ciò derivi la possibilità per chiunque di accedere a detto materiale; mancando tale condizione, come si verifica nel caso in cui la foto o il messaggio vengano allegati ad un messaggio di posta elettronica inviato ad un determinato destinatario, può soltanto ritenersi configurabile la meno grave ipotesi di reato di cui al comma 4 del cit. art. 600 ter”[69].

Proprio in relazione a questa zona di confine, si è fatta sentire l’esigenza di precisi interventi del giudice di legittimità; questi, in una delle principali decisioni in materia, ha ritenuto sussistere la divulgazione in caso di diffusione attraverso un sistema di chat via IRC anche se, di fatto, le modalità tecniche della condotta con cui avviene lo scambio possono apparire tali da configurare le modalità della cessione piuttosto che della divulgazione[70]. La Corte ha argomentato che “la condotta di divulgazione, in particolare, implica l’esistenza di un mezzo di diffusione comunque accessibile ad una indefinita pluralità di utenti, per il cui tramite il soggetto agente mette a disposizione degli stessi materiale vietato o informazioni in ordine ad esso ed il riferimento alla condotta di pubblicizzazione si estende a tutte le possibili forme di diffusione di una informazione nei confronti di una pluralità o generalità di destinatari.

La disposizione del 4° comma dell’art. 600 ter cod. pen. punisce, invece, le condotte occasionali di cessione di materiale pornografico realizzato mediante lo sfruttamento sessuale di minori, a qualsiasi titolo (pure personale e gratuito) essa sia operata. Trattasi di una fattispecie di reato per sua natura sempre sussidiaria rispetto a quelle previste dai primi tre commi, che non può trovare conseguentemente applicazione allorquando sussistano gli estremi per la operatività di essi”[71].

Tale indirizzo è stato successivamente confermato, sia pure dalla medesima sezione, che ha provveduto a tracciare alcune linee guida in materia[72]; affermando che, per la sussistenza del delitto di cui al terzo comma dell’art. 600 ter cod. pen., non può ritenersi  sia sufficiente la mera circostanza che le foto pornografiche di minori siano “veicolate attraverso la rete internet”, ma è necessario valutare concretamente il modus operandi dell’agente.

Il delitto in esame deve ritenersi certamente configurabile allorquando l’autore inserisca foto pornografiche minorili in un sito accessibile a tutti ovvero le diffonda attraverso usenet, inviandole ad un gruppo o ad una lista di discussione, in quanto si tratta di modalità che ne consentono un ampio accesso a chiunque; pare, invece, ipotizzabile non il delitto in esame, ma quello, ben più lieve, di cui al quarto comma[73], nel caso in cui le fotografie vengano inviate ad una persona determinata, per esempio allegandole ad un messaggio di posta elettronica.

In relazione alla distribuzione attraverso sistemi di chat, la Corte ha osservato che non è significativo limitarsi a rilevare che la cessione delle foto è avvenuta attraverso un canale di discussione, dovendosi, invece, “distinguere l’ipotesi in cui si sia trattato di una sola isolata cessione, avvenuta nel corso di una discussione privata con una determinata persona di modo che la foto sia stata di fatto ceduta ad una sola persona e solo questa abbia avuto la possibilità di prelevarla, dall’ipotesi in cui invece la foto sia stata ceduta in un canale aperto a tutti gli utenti, di modo che qualsiasi soggetto si trovi nella stanza o nel canale abbia avuto la possibilità di prelevarla, oppure sia stata ceduta comunque ad una pluralità di soggetti sia pure attraverso una serie di diverse conversazioni private”[74].

L’indirizzo è stato confermato da una successiva decisione[75], in cui la Corte ha ritenuto non sussistente il reato di cui al comma 3 dell’art. 600 ter c.p. nel caso di trasmissione diretta tra due utenti di materiale pedo pornografico attraverso il sistema della “chat line”, in quanto lo stesso non costituisce “divulgazione” o “distribuzione”, ma cessione. In particolare la Cassazione accoglieva il ricorso ed annullava l’ordinanza impugnata[76] con rinvio al Tribunale di Trieste. Anche in questo caso si trattava di un procedimento de libertate scaturito dall’attività di un agente provocatore che aveva agito sotto copertura in un canale chat.

In particolare il Tribunale aveva sostenuto la tesi che, sebbene con il sistema della chat in linea non sia possibile prevedere una divulgazione indiscriminata a tutti i presenti e sebbene “l’interlocutore via internet debba di volta in volta mostrarsi interessato a quel prodotto e accettare di ricevere e scambiare le foto, ciò non è incompatibile con il concetto di divulgazione, atteso che in detto colloquio “privilegiato” l’interlocutore è sconosciuto e può essere potenzialmente costituito nella realtà fisica (non virtuale) da un gruppo di persone (nel caso in esame, ad esempio, erano almeno due gli agenti sotto copertura), delle quali non è dato conoscere nulla, nemmeno l’età”[77].

La Corte censurava tale teoria, ritenendo che, se applicata a tutti i casi di trasmissione diretta, avrebbe ricompreso anche il caso, escluso invece dalla precedente giurisprudenza in tema di cessione[78], dell’invio di un singolo messaggio ad un singolo indirizzo di posta elettronica[79].

Il punto centrale della decisione, viene affrontato laddove si afferma con decisione che “posto che l’ordinanza dà per pacifico che le trasmissioni dei file contenenti immagini pornografiche sono avvenute su richiesta di chi si è messo per via informatica in “dialogo privilegiato” con l’imputato, è da escludere che tale trasmissione diretta tra due utenti, i quali devono essere necessariamente d’accordo sulla trasmissione del materiale, configuri senz’altro una divulgazione o distribuzione ai sensi del terzo comma della norma citata”.

Dunque, perché vi sia divulgazione o distribuzione, è necessario che l’agente inserisca le foto pornografiche minorili in un sito accessibile a tutti, al di fuori di un dialogo “privilegiato”, le invii ad un gruppo o ad una lista di discussione, da cui chiunque le possa scaricare, ovvero, pur inviandole ad indirizzi di persone determinate, lo faccia in rapida successione, realizzando cioè una serie di conversazioni private, e di conseguenti cessioni, con diverse persone in un lasso di tempo ragionevolmente ristretto.

Deve osservarsi poi che la cessione o la distribuzione è configurabile anche laddove non vi sia l’invio “diretto” del materiale, ma sia fornito all’interlocutore il link presso cui reperirlo[80].

  1. La Corte ha più volte osservato che si realizza una distribuzione o divulgazione delle foto pedo pornografiche ad una serie indeterminata di persone anche quando la loro cessione avviene attraverso programmi di file sharing, ma la questione deve essere debitamente analizzata.

Attraverso l’uso di un programma e di una rete del genere, infatti, il soggetto “condivide” con gli altri utenti le foto pornografiche registrate sul suo disco rigido, o in un altro supporto, nel senso che mette a disposizione di tutti la parte del suo disco rigido, o di altra memoria di massa, dove sono contenute le foto pornografiche minorili in modo che chiunque possa accedere alle cartelle condivise e prelevare direttamente le foto; è evidente che è astrattamente configurabile una ipotesi di distribuzione e divulgazione ad un numero indeterminato di persone, ma quando tale comportamento costituisce una condotta penalmente perseguibile?

Non a tutti è, infatti, noto il funzionamento dei programmi di file sharing, con particolare riguardo alla circostanza che, molto spesso, questi programmi mettono automaticamente in condivisione, rendendolo accessibili a chiunque, un file durante la fase di download.

A questo proposito la Corte, premesso che la condotta di chi condivide file pedopornografici in un circuito peer to peer è configurabile come divulgazione o diffusione e non come cessione[81], ha evidenziato come, laddove la stessa avvenga in via automatica a seguito dell’utilizzo di programmi che, durante la fase di download, effettuino anche la condivisione del materiale acquisito (come nel caso del noto programma eMule), ha osservato che per il perfezionamento del reato è necessario che i files di cui si compone detto materiale siano interamente scaricati e visionabili, nonché volontariamente lasciati nella cartella dei contenuti destinati alla condivisione[82].

In merito all’attività di contrasto nei circuiti p2p occorre altresì osservare che l’attività di accesso, da parte della polizia giudiziaria a fini investigativi, a materiali pedopornografici condivisi in rete, senza che tale attività sia accompagnata da quella di acquisto simulato o di intermediazione nell’acquisto dei prodotti esistenti nei files individuati, non costituisce “attività di contrasto” soggetta ad autorizzazione dell’autorità giudiziaria[83].

  1. Concludiamo questa rapida rassegna sulla 269/98 analizzando rapidamente la fattispecie prevista e punita dall’art. 600-quater[84] destinato a vietare anche la mera detenzione del materiale pedo pornografico.

In primo luogo, si osserva che con i termini “si procura o detiene” si è voluta punire non soltanto la mera detenzione, ma anche la mera possibilità di detenere. In particolare si è sottolineato come la disponibilità del materiale sia configurabile anche qualora lo stesso non sia conservato nel proprio elaboratore, ma in un server estero[85]. Ciò, tuttavia, comporta una serie di questioni legate alla detenzione di link a siti pedo pornografici, ovvero a risorse che permettono di accedere a tale materiale. Se si accettasse un’applicazione estensiva del verbo “disporre”, si dovrebbe arrivare a temere l’uso di gran parte delle risorse della rete in quanto astrattamente in grado di consentire in pochi istanti di accedere al suddetto materiale.

Anche in questo caso sarebbe stata auspicabile una maggiore chiarezza da parte del legislatore in grado di definire, per esempio, i limiti di tale norma in caso di accesso fortuito[86]. In particolare ci si è posti il problema di tutelare questi soggetti che accedono al materiale pedo pornografico per errore, magari cercando materiale di altro tipo. La soluzione è, come spesso accade, lasciata al buon senso degli inquirenti, che dovranno essere in grado di discernere tra un accesso casuale ed un accesso volontario[87].

  1. Una grave mancanza del legislatore, sia di quello del 1998 che di quello del 2006, su cui, tuttavia, nessuno sembra aver puntato l’attenzione, è rappresentata dall’assoluta carenza di raccordo tra la legge 269\98 e la legge 66\96[88] che porta a delle conseguenze penalmente assurde, oltre che ad ulteriori, lampanti incongruenze che potrebbero dar luogo a situazioni paradossali.

Solo a titolo di esempio, si consideri che, nel nostro ordinamento, l’età del consenso è raggiunta, per legge[89], col compimento del quattordicesimo anno di età (sedicesimo per condizioni particolari), ma gli articoli 600 ter e quater fanno riferimento puramente e semplicemente al materiale prodotto mediante “l’utilizzo” di minori di anni 18. Si crea in tal modo un paradosso legislativo in cui viene maggiormente tutelata l’immagine piuttosto che il corpo: si permette, infatti, di avere rapporti sessuali con un minore purché abbia compiuto i quattordici anni, ma non il possederne fotografie erotiche o pornografiche[90].

Il Tribunale di Chieti ha risolto la questione sostenendo che “per la configurabilità del reato di pornografia minorile ed in particolare dell’ipotesi di produzione di materiale pornografico prevista dal comma 1 dell’art. 600-ter c.p., non è sufficiente che il materiale sia realizzato mediante il mero impiego di minori, essendo richiesta una condotta di sfruttamento da interpretarsi quale approfittamento (fisico, morale, mediante indebita induzione o incitamento) del minore. Il reato non può ritenersi sussistente in presenza di un consenso libero e consapevole da parte del soggetto il quale, ancorché minorenne, sia riconosciuto dall’ordinamento penale idoneo a disporre della propria libertà sessuale”[91].

Di differente avviso è, però, la Corte di cassazione secondo cui “il concetto di utilizzazione comporta la degradazione del minore ad oggetto di manipolazioni, non assumendo valore esimente il relativo consenso”[92].

In relazione a questo aspetto, ci si interroga sulle eventuali responsabilità penali in cui incapperebbero due soggetti minori, entrambi ultraquattordicenni, che, per esibizionismo o altra ragione, decidano di riprendersi durante il compimento di atti sessuali: potrebbero essere indagati e condannati per il reato previsto e punito dall’art. 600 ter, soprattutto in caso di divulgazione del materiale stesso.

Di differente avviso sembrerebbe, invece, essere il Tribunale per i Minorenni di Perugia secondo cui “non sono ravvisabili i delitti di pornografia minorile e di pubblicazione o spettacolo osceni  (rispettivamente ex art. 600 ter comma 1 e art. 528 comma 1 c.p.) a carico del minorenne che, col consenso della compagna minore degli anni diciotto, registri con videocamera i loro amplessi sessuali, all’esclusivo scopo di rafforzare il reciproco legame visionando il tutto tra loro due per poi cancellarlo, ancorché il filmato sia stato poi tradotto in un cd-Rom diffuso dall’imputato tra i conoscenti di lui e di lei, per diffamare e minacciare l’ex compagna vendicandosi per aver ella interrotto la relazione”[93].

Il procedimento aveva preso l’avvio dal rinvenimento, e dal successivo sequestro, di un CD- rom, nel quale era riprodotto un filmato pornografico i cui protagonisti erano una ragazzina, dell’apparente età di 13-14 anni, ed un ragazzo, dall’apparente età di 18-19 anni.

La ragazza adolescente veniva identificata nella persona di Caia ed il ragazzo nell’imputato Tizio; i due avevano avuto una breve relazione sentimentale e la registrazione di un loro rapporto sessuale, filmata ad opera dell’imputato, si collocava nel momento finale di crisi della coppia. La rottura, decisa dalla ragazza, ma non accettata da Tizio, lo aveva spinto a portare a conoscenza di alcuni amici il filmato suddetto e, poi, riversatolo in CD-rom, a diffonderlo tra amici e conoscenti, facendolo anche proiettare nel suo stesso Istituto scolastico, a fini vendicativi e diffamatori.

Il Collegio di primo grado riteneva di accogliere le richieste della difesa in ordine alle prime due più gravi imputazioni (capi 1) e 2) della rubrica) da cui Tizio veniva assolto con l’ampia formula liberatoria invocata. Secondo il Tribunale, infatti, il delitto di pornografia minorile di cui all’art. 600 ter c.p., comma 1, implicherebbe il collegamento dell’agente con soggetti pedofili, potenziali destinatari del materiale pornografico nonché la disponibilità materiale di strumenti tecnici di riproduzione e/o trascrizione anche telematica in grado di diffondere il materiale pornografico in cerchie più o meno vaste di destinatari e l’utilizzo, temporaneo o differito nel tempo, di più minori per la produzione del materiale pornografico; in sostanza, la consumazione del delitto postulerebbe l’integrazione di un fatto con i caratteri di abitualità[94].

Il Collegio riteneva inoltre necessario, sotto l’aspetto soggettivo, un dolo  tipicamente specifico, in quanto la norma esprimerebbe finalità esterne all’azione di sfruttamento, identificabili nel fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico. Quindi nella specie, secondo il Tribunale, sarebbero mancati sia l’elemento materiale che quello soggettivo del reato de quo.

La pronuncia veniva impugnata dal Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Perugia limitatamente ai capi 1) e 2) della rubrica.

La Corte di Appello, sezione per i minorenni, con sentenza del 16/6/2004, accoglieva l’impugnazione e, in riforma della sentenza, dichiarava Tizio colpevole dei delitti di cui ai capi 1) e 2) della rubrica.

La Corte osservava che, nel linguaggio comune, “sfruttare” è sinonimo di trarre frutto o utile, non necessariamente di tipo economico. Quindi qualsiasi utilità valeva ad integrare la condotta contestata di cui all’art 600 ter. In relazione al dolo specifico la Corte riteneva sufficiente la mera consapevolezza del concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto[95].

Avverso questa pronuncia, Tizio proponeva ricorso per Cassazione, denunciando vizio di motivazione in quanto la Corte di Appello di Perugia, aderendo alle argomentazioni del Procuratore Generale, aveva ritenuto provata la sua responsabilità, relativamente ai fatti inerenti il delitto di pornografia minorile, essenzialmente sulla base di dichiarazioni di altri coimputati, giudicabili davanti al Tribunale Ordinario di Perugia essendo gli stessi maggiorenni, e della parte offesa. La difesa del ricorrente riteneva, quindi, che gli elementi di prova utilizzati non fossero stati adeguatamente valutati in quanto erano stati accettati nella direzione indicata dalla parte offesa e non già in una prospettiva più ampia che tenesse conto di tutte le risultanze processuali. A ciò doveva aggiungersi che la lettura della motivazione, sempre secondo la difesa, non avrebbe consentito di enucleare i passaggi logici della formazione del convincimento della Corte di Appello limitatasi ad una disamina delle risultanze meramente riassuntiva ed acritica.

La Corte di Cassazione[96] dichiarava il ricorso inammissibile, in quanto il Tribunale prima e la Corte d’Appello poi avevano ritenuto accertato, in punto di fatto, la realizzazione, da parte dell’imputato, del filmato in questione, il coinvolgimento della parte offesa e la circostanza che Tizio, dopo averlo riversato in CD-rom, lo avrebbe diffuso all’interno della scuola dal medesimo frequentata per diffamare la ragazza, colpevole ai suoi occhi di aver troncato la loro pregressa relazione sentimentale. La Corte osservava che la diversità delle pronunce riguardava esclusivamente la concezione dei due reati di cui ai primi due capi della rubrica; si trattava, quindi, essenzialmente di una questione di diritto quella che aveva diviso i giudici di primo e secondo grado, ma il ricorso per Cassazione si disinteressava del tutto di questo profilo.

Ciò nonostante la Corte riteneva opportuno intervenire sulla questione, osservando che l’elemento oggettivo dell’art. 600 ter c.p., anche nell’originaria formulazione, non richiedeva l’abitualità e poteva concretarsi anche in un solo atto. Lo sfruttamento, inoltre, può consistere in una qualsiasi utilità, non necessariamente di natura economica, anche in considerazione del fatto che l’elemento soggettivo non implica uno scopo di lucro, ma è sufficiente il fine di trarre un vantaggio dall’attività di “sfruttamento”; nella specie il fine “vendicativo” dell’imputato ben integrava l’elemento soggettivo del reato.

La Corte riteneva, quindi, corretta la sentenza della Corte di Appello anche nella parte in cui aveva ritenuto sussistere sia l’elemento oggettivo (produzione del filmato pornografico e suo riversamento in CD-rom con successiva distribuzione dello stesso all’interno della scuola), sia quello soggettivo (volontarietà della condotta assistita dall’intento di distribuire il CD-rom così prodotto seppur in un ambito inizialmente limitato, quello della scuola).

*     Emanuele Florindi avvocato, membro del direttivo AISF (Accademia Internazionale di Scienze Forensi); professore a contratto del corso di “Bioetica e Diritto” (Facoltà di Scienze MM.FF.NN.), del corso di “Diritto dell’informatica” (corso di laurea specialistica in Informatica presso la facoltà di Scienze MM.FF.NN.) e di “Informatica giuridica” (Facoltà di Giurisprudenza) dell’Università degli Studi di Perugia.

[1]     La pedofilia, letteralmente amore dei bambini, è in pratica la tendenza a commettere abusi sessuali contro di loro (in tal senso C. Rycroft, Dizionario critico di psicoanalisi, Astrolabio, Roma 1970). L’etimologia del termine è, infatti, riconducibile al verbo paidofilew che vuol dire: “io amo i fanciulli” nonché al sostantivo paidofίlos il cui significato letterale è “amante” o “innamorato dei fanciulli”. Da un punto di vista scientifico la definizione preferibile è quella fornita dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali che caratterizza la pedofilia come “fantasie, impulsi sessuali, o comportamenti ricorrenti ed intensamente eccitanti sessualmente, che comportano attività sessuali con uno o più bambini prepuberi (generalmente di 13 anni o più piccoli)”. A tal proposito è stata presenta a livello scientifico una proposta relativa al bisogno di una migliore definizione terminologica della dizione “Pedofilia”, che, secondo parte della dottrina medica, dovrebbe essere sostituita dal termine “Pedomania” che meglio delineerebbe le caratteristiche del problema (in tal senso si veda V. Mastronardi, M. Villanova, M. Picozzi, “Il Trattamento psicoterapeutico del pedofilo” in Pedofilia, non chiamatelo amore, a cura di M. Picozzi, M. Maggi, Guerini e Associati, 2003). A livello medico diagnostico, perché possa correttamente parlarsi di pedofilia, è necessario che il soggetto abbia un’età minima di 16 anni e sia maggiore di non meno di cinque anni del bambino, oggetto delle fantasie, degli impulsi o degli atti e la durata del comportamento non dovrebbe essere inferiore ai sei mesi, salvo il caso in cui ci si trovi di fronte ad un “pedofilo occasionale”.

[2]     Il 25 maggio 2000, l’Assemblea Generale dell’ONU ha adottato il testo definitivo dei Protocolli opzionali alla Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, riguardanti il coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati e il traffico di bambini, la prostituzione infantile e la pornografia infantile. In particolare il II Protocollo Facoltativo della Convenzione del 1989, è dedicato alla vendita dei minori, della prostituzione e della pornografia infantile e richiama gli Stati membri all’attuazione dei provvedimenti contenuti nel Programma d’azione per la prevenzione della prostituzione e della pornografia infantile, nella Dichiarazione e Piano d’azione adottati al Congresso di Stoccolma contro lo sfruttamento sessuale commerciale dell’infanzia, tenutosi a Stoccolma dal 27 al 31 agosto 1996. Il Protocollo, all’articolo 2, lett.c. offre  questa definizione di pedo pornografia: “c) per pornografia rappresentante bambini si intende qualsiasi rappresentazione, con qualsiasi mezzo, di un bambino dedito ad attività sessuali esplicite, concrete o simulate o qualsiasi rappresentazione degli organi sessuali di un bambino a fini soprattutto sessuali.”

[3]     Legge 3 agosto 1998, n. 269, in Gazz. Uff., 10 agosto, n. 185, “Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù”; come modificata dalla Legge 6 febbraio 2006, n. 38 in Gazz. Uff. 15 febbraio 2006, n. 38, “Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet”.

[4]     In tal senso si veda M. Strano, Computer crimes, Apogeo, 2000, p. 203.

[5]     La pedofilia si manifesta con vari comportamenti tra loro differenti per modi ed effetti, dato che varie possono essere le modalità e le tipologie di atti ed abusi. Già soltanto scorrendo le notizie di cronaca, infatti, vediamo emergere la varietà dei comportamenti dei pedofili, le differenti caratteristiche e così pure le loro storie, l’estrazione socio-culturale, le modalità d’approccio al minore, la tipologia degli atti compiuti sui bambini, il loro grado di pericolosità e la gravità delle loro azioni: si parte dai comportamenti esibizionistici, che non prevedono il contatto fisico con il bambino, al palpeggiamento, alla masturbazione reciproca, fino ad arrivare ai rapporti sessuali completi, alla pornografia, ed al pedosadismo. A questo proposito, interessante si rivela l’ipotesi presentata da Schinaia (C. Schinaia, Pedofilia Pedofilie, Boringhieri, Torino, 2000), secondo cui la pedofilia andrebbe interpretata come un sintomo trasversale a strutture e organizzazioni di personalità molto diverse. Nello stesso senso si veda anche Mastronardi (V. Mastronardi, R. De Luca, M. Villanova, Ministero delle Comunicazioni – Gruppo di lavoro Internet @ Minori Relazione del Sottogruppo “Prevenzione primaria” famiglia, scuola, media, minori, ed internet, Roma, 2003) secondo cui “la pedofilia può essere distinta principalmente in intrafamiliare (che si attua all’interno della cerchia delle conoscenze o delle parentele del bambino) e in extrafamiliare (ad opera di soggetti che non hanno nessuna conoscenza con la vittima). Riguardo alla pedofilia extrafamiliare possiamo parlare di almeno tre tipi caratteristici di personalità.

  • Il pedofilo interpretato come “il mostro” che attende le sue vittime fuori dalla scuola, una figura meno problematica delle altre ed in fase di estinzione;
  • Il pedofilo che dà sfogo alle sue perversioni grazie al turismo sessuale;
  • Il pedofilo che irretisce le sue vittime attraverso internet.

      Affrontiamo per intanto quest’ultimo punto: il tema della pedofilia via Internet. / I navigatori pedofili on-line se sviluppano dipendenza sessuale collegata ad internet, sono caratterizzati da “compulsione da cibersex” a tal punto, che richiederebbero in diversi casi, necessità di assistenza e procedure di disassuefazione come accade per alcoolisti o eroinomani. / Il pedofilo on-line è caratterizzato da:

  • incapacità di smettere di avere rapporti sessuali virtuali on-line nonostante le rinomate gravi conseguenze;
  • persistente perseguimento di comportamenti rischiosi (es. pornografia minorile) con distorsione e perdita di contatto con l’obiettività, il risultato è che i comportamenti pericolosi continuano;
  • crescente desiderio o sforzo di controllare i comportamenti sessuali on-line. Asseriscono a se stessi che si fermeranno “da questo momento in poi” o “dopo quest’ultima volta”, però non succede mai.
  • l’ossessione e la fantasia sessuale divengono le strategie primarie per relazionarsi con gli altri utenti della Rete. Per tutto il giorno può spendere la maggior parte del tempo in uno stupore sessuale davanti al computer. Il compulsivo da cybersex riduce l’ansia cercando l’acting-out sessuale attraverso la sua ricerca e il suo soddisfacimento sessuale in internet in cui il bambino è interpretato come “persona-oggetto-non giudicante” e in definitiva tutto sommato, “facile da irretire” con un po’ di abilità;
  • la persona ha bisogno di una quantità crescente di ciò da cui dipende per ottenere gli stessi risultati;
  • gravi cambiamenti di umore dovuti all’attività sessuale (con profonda vergogna, isolamento e svalutazione);
  • gli elementi basilari della vita, come il cibo, il sonno, il lavoro e i vestiti, divengono secondari. La maggior parte del tempo è spesa nella ricerca del sesso, in internet e/o attraverso internet:
  • la famiglia, gli amici, il lavoro e gli hobby vengono sostituiti dalla ricerca di attività sessuali attraverso internet. Le decisioni sono prese in base al principio del piacere istintuale grazie a obiettivi sessuali e non secondo raziocinio e giudizio”. In tal senso si veda anche O. Greco, P. Ramirez, “Una forma di perversione sessuale: il Cybersex. Aspetti Nosografici, Criminologici e Pedagogici”, in Le Perversioni Atti del Convegno Aversa 2001 in Rivista semestrale dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa, 2002. Si veda inoltre quanto affermato da M. Picozzi, M. Maggi, “Pedofilia: inquadramento clinico e analisi del fenomeno in Italia”, in Pedofilia, non chiamatelo amore, a cura di M. Picozzi, M. Maggi, Guerini e Associati, 2003, passim.

[6]     Mastronardi (V. Mastronardi, R. De Luca, M. Villanova, Ministero delle…, cit.,p. 6), classifica i pedofili in varie categorie tra cui ricordiamo qui il pedofilo latente (privo di comportamenti manifesti, è comunque consapevole della sua diversità sociale); il pedofilo occasionale (caratterizzato dalla occasionalità del suo approccio pedofilico); il pedofilo immaturo (carente sviluppo delle capacità relazionali per immaturità istintivo-affettivo-emotiva, predilige le modalità di adescamento seduttivo e passivo); il pedofilo regressivo (ha un comportamento di adescamento impulsivo conseguente a particolari eventi stressanti o traumatici subiti); il pedofilo aggressivo (denota aggressività fisica verso la vittima). In tal senso si veda anche L.B. Petrone, S. Rialti, “Le caratteristiche di personalità del pedofilo”, in Pedofilia. Gli abusati, gli abusanti, a cura di R. Giommi e M. Perrotta, Ed. Del Cerro, 1998. Un’ulteriore classificazione delle tipologie di pedofili può essere trovata in M. Picozzi, M. Maggi, Pedofilia: inquadramento clinico e analisi del fenomeno in Italia…, op. cit., p. 23 ss.; M. Strano, E. Florindi, “Pedopornografia”, in Abusi sui minori: manuale investigativo, Nuovo Studio Tecna, 2006, p. 191ss.

[7]     In tal senso si veda F. Boezio, M. D’Alessio, Internet e responsabilità penali, in Internet e responsabilità giuridiche, a cura di G. Vaciago, La Tribuna, 2002, p. 282. Si veda, inoltre, M. Strano, E. Florindi, “Pedopornografia”, in Abusi sui minori: manuale investigativo, Nuovo Studio Tecna, 2006, p. 191ss.

[8]     In tal senso si esprime Pomante (G. Pomante, Internet e criminalità, Giappichelli, Torino, 1999, p. 220), il quale stigmatizza con parole piuttosto dure le campagne di allarmismo che certa stampa ha fatto nei confronti di Internet, con toni tali da indurre i cittadini a diffidare, se non temere apertamente, di questo straordinario strumento. In proposito si veda anche G. Buonomo, “Le responsabilità penali”, in I problemi giuridici di Internet, a cura di E. Tosi, Giuffré, Torino, 1999, p. 346s.; D. Minotti, “I reati commessi mediante internet”, in Internet nuovi problemi e questioni controverse, a cura di G. Cassano, Milano, Giuffrè, 2001;, p. 473.

[9]     In tal senso si veda M. Strano, “Analisi criminologica e profiling dei pedofili on-line”, in Pedofilia, non chiamatelo amore, a cura di M. Picozzi, M. Maggi, Guerini e Associati, 2003, p. 115.

[10]   Per un’analisi della problematica relativa alle molestie sessuali on line a danno di minori si veda quanto sottolineato da Strano (M. Strano, Computer…, cit., p. 213 ss). In tal senso si veda anche M. Strano, Analisi criminologica e…, op. cit., p. 115, secondo cui “L’attività investigativa ha infatti permesso di individuare soggetti che avvicinano i minori in chat e li conducono a un confronto su tematiche sessuali o addirittura tentano di avvicinarli e incontrarli direttamente nel reale e non più solo nel virtuale”. Si veda anche M. Strano, R. Bruzzone, “La percezione del rischio dei bambini su internet”, in Abusi sui minori: manuale investigativo, Nuovo Studio Tecna, 2006, p.159ss.

[11]   Cass.pen., sez. III, 05 giugno 2007, n. 27252, in Guida al diritto, 2007, 34, 55 “la realizzazione della videoripresa di un rapporto sessuale, non limitata a un utilizzo privato, ma destinata a una diffusione suscettibile di interessare un numero indeterminato di soggetti integra il delitto di cui all’art. 600 ter c.p., laddove coinvolti nella ripresa siano soggetti minori d’età. In particolare trasmettere una videoripresa di contenuto pornografico a più persone attraverso il telefono cellulare potenzia il carattere diffusivo della trasmissione, facilmente moltiplicabile da ciascun soggetto destinatario. Il delitto deve ritenersi integrato anche nell’ipotesi in cui soggetto attivo della condotta criminosa sia a sua volta un minore di età”.

[12]   Cfr. infra par. 6

[13]   Si tratta del commercio organizzato di materiali fotografici, video etc. avente per oggetto pornografia infantile. In proposito si veda anche M. Strano, E. Florindi, “Pedopornografia”, in Abusi sui minori: manuale investigativo, Nuovo Studio Tecna, 2006, p. 197ss.

[14]   Spesso si utilizza il termine “surf safe” per indicare tutte quelle attività in grado di agevolare la navigazione anonima, rectius il più possibile anonima, verso siti con contenuti illeciti in modo da rendere più difficoltosa l’identificazione dei soggetti che operano nella rete da parte delle forze di polizia.

[15]   Anche i servizi di intelligence ed il Parlamento concordano nell’affermare che il mercato della produzione e della commercializzazione della pedopornografia siano gestiti direttamente dalla criminalità organizzata. In particolare, già nel 2000 il SISDE informava che “è stato rilevato un accentuato coinvolgimento della criminalità organizzata in ambiti meno tradizionali ma altrettanto remunerativi, come il mercato della pedofilia e della pornografia (SISDE, “Relazione sulla politica informativa e della sicurezza -secondo semestre 2000 – presentata dal Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuliano Amato”, in sisde.it) e nel 2001 confermava che “… accanto alle tradizionali forme di lucro continuano ad intrecciarsi il crescente coinvolgimento nei circuiti dello smaltimento dei rifiuti, delle scommesse clandestine, del mercato della pedofilia e della pornografia, con la rafforzata propensione ad infiltrarsi nel tessuto economico-legale mediante operazioni di riciclaggio…” (SISDE, “Relazione sulla politica informativa e della sicurezza presentata dal Ministro per la Funzione pubblica e per il coordinamento dei Servizi di informazione e sicurezza, On. Franco Frattini, per il primo semestre 2001”, in sisde.it).

      Nello stesso senso anche la Camera dei Deputati ha ricordato come “una gran parte di questo disumano affare è nelle mani della grande criminalità organizzata” … “parlo della pedopornografia, di cui si è molto discusso proprio in questi giorni. Abbiamo norme avanzatissime, riusciamo attraverso quelle norme a fare azioni brillanti di indagine, a individuare coloro che si connettono ai siti Internet dedicati, possiamo appunto, attraverso le loro carte di credito, arrivare ai protagonisti, a coloro che si mettono davanti al video. / Poi, però, ci scontriamo con il segreto bancario, con le norme relative alla tutela della privacy e non riusciamo a risalire a chi produce quel materiale. Insomma, e chiudo, quello che intendevo dire è che all’alba del terzo millennio punire in modo omogeneo il delitto di traffico di persone sarebbe la migliore risposta al crimine organizzato e allo stesso tempo concretizzerebbe quell’idea giscardiana di uno spazio giuridico europeo” (Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia e delle altre associazioni criminali similari – Luciano Violante – Presidente della Camera dei Deputati).

[16]   Osserva M.R. Parsi, Le mani sui bambini, Mondadori, 1998, p. 16 “Costoro rapiscono i nostri bambini (i bambini sono l’amoroso patrimonio di tutti!), il loro ed il nostro futuro, lasciandoci piangere dopo che, ai meno sventurati, hanno strappato non la vita, ma l’equilibrio emotivo e mentale”. Non bisogna, però, dimenticare che, come osservato da M. Strano, Computer…cit.., p. 204 “in realtà la pedofilia continua a essere un fenomeno che si consuma prevalentemente all’interno delle mura domestiche, talvolta all’interno degli istituti di istruzione e negli spogliatoi sportivi…”.

[17]   In tal senso si veda anche M. Strano, Computer…, cit., p. 205. Secondo questo Autore tra i fattori organizzativi che connotano la ciberpedofilia va considerata la “nascita e sviluppo di forme di consorzi tra pedofili di tipo pseudopolitico e pseudolibertario”. Si veda, inoltre, M. Strano, E. Florindi, “Pedopornografia”, in Abusi sui minori: manuale investigativo, Nuovo Studio Tecna, 2006, p. 196 ss.

[18]   Contrariamente a quanto succede in quasi ogni organizzazione il neofita non viene deriso, evitato, né deve pagare pegno; è spesso “amorevolmente” preso in consegna dalla comunità, educato, istruito, protetto e, all’occorrenza, redarguito se compie azioni che possono in qualche modo recare danno alla comunità. Il novellino può chiedere ed ottenere quasi tutto: dalle dettagliatissime indicazioni su come navigare anonimo, ai siti migliori da cui iniziare la propria esperienza pedo in rete, ivi compresi i siti da evitare perché monitorati dalle autorità di polizia, fino ad arrivare al sostegno psicologico da parte di esperti nel caso di crisi di paranoia (ovvero, nel gergo pedo telematico, le crisi di “paura dell’autorità”). Non mancano, infine, i gruppi di supporto legale.

[19]   In un noto sito è, per esempio, possibile leggere la seguente presentazione: “Ho voluto creare questo sito perché ho sentito anch’io, come tanti altri pedofili, il desiderio di partecipare all’impegno per dimostrare al mondo il vero volto della pedofilia e soprattutto qual’è la differenza tra chi ama i bambini e chi li maltratta. In queste pagine troverete le mie considerazioni sull’argomento, le mie risposte a tutte le cose che ho letto e sentito contro la pedofilia, la mia storia, i miei sentimenti e le mie esperienze. Mi rivolgo soprattutto a chi pensa male della pedofilia: visitate il mio sito con la massima serenità, senza pregiudizi e con lo spirito di chi vuole approfondire la propria conoscenza. Io non ho la presunzione di portare, con le mie considerazioni, la verità assoluta, voglio soltanto dare la possibilità a chi non sa determinate cose, di conoscere meglio un fenomeno di cui si parla troppo spesso a sproposito, senza i necessari approfondimenti e senza la volontà di mettersi in discussione. Quindi, quelle che leggerete saranno le mie personali opinioni che possono essere giuste o sbagliate ma per cui chiedo rispetto” (Fonte: il sito di P).

[20]   A tale proposito, è esemplare quanto affermato da W. Andraghetti, Diario di un pedofilo, Stampa Alternativa, 1996, passim secondo cui sono gli stessi bambini, alla ricerca di esperienze sessuali, a sedurre consapevolmente i pedofili la cui unica colpa è quella di non voler respingere i loro giovani spasimanti.

[21]   La questione esplose in tutta la sua drammaticità nel 1997, quando Don Zega, all’epoca direttore del settimanale “Famiglia Cristiana” espresse, nel corso di un’intervista al Corriere della Sera (pagina 17 del 27 novembre 1997), la sua preoccupazione proprio in merito alle posizioni assunte, nel corso di alcune trasmissioni televisive dicendo “Bisogna rompere il silenzio. Ma si deve anche affrontare il tema con serietà, non come si è fatto spesso in questi tempi. Qualche esempio? Certi maitres à penser, gli stessi che chiedono ogni giorno il sesso libero, la droga per tutti… E penso anche a certe trasmissioni televisive. Ma come si fa? Si decide di trasmettere un dibattito sulla pedofilia e si affida il commento ad Aldo Busi: cioè a uno che della pedofilia è un aperto sostenitore e predicatore. No, davvero non si può”. A seguito dell’intervista Don Zega venne querelato per diffamazione e, dopo essere stato condannato in primo grado, fu assolto in Appello. La Corte di Cassazione rigettò il ricorso, presentato dalla parte civile, contro la sentenza della Corte di Appello stabilendo che era stato legittimamente esercitato il diritto di critica (Cass. Pen., sez. V, 27 settembre 2004, n. 46788). In particolare la Corte osservò che “lo stesso ricorrente ha riconosciuto il carattere provocatorio di alcune sue affermazioni, ed è anche su questo carattere, e sulla correlativa forzatura dialettica, che deve misurarsi la risposta critica e valutarsi il rispetto del limite di continenza”. In effetti, come aveva puntualmente osservato Don Zega, la pedofilia  gode dell’implicito sostegno, almeno per alcuni dei suoi aspetti, anche da parte della società contemporanea.

[22]   Si veda, ad esempio, il saggio di A. Busi, Scusi, mi dà una caramella?, in Luther Blissett, Lasciate che i bimbi…,  pubblicato e diffuso prevalentemente tramite internet. Si vedano, poi, Foti e Roccia secondo cui “la pedofilia non è una reazione perversa del tutto isolata, ma gode di differenziate e sfumate adesioni. La tendenza, da sempre radicata nell’immaginario erotico collettivo (soprattutto maschile), a privilegiare “la carne fresca”, il corpo giovane, viene incentivata nella società contemporanea, che favorisce la differenziazione degli stimoli erotici e dell’offerta sessuale (in modo tale da coinvolgere la preadolescenza e l’infanzia) anche come via di fuga dalle ansie e dalle difficoltà della relazione eterosessuale tra adulti; lo sviluppo della pedofilia è stato infatti messo in collegamento da alcuni autori con la diffusione dell’AIDS e con le conseguenti angosce di impotenza e di morte del maschio, angosce superabili difensivamente nel rapporto con un partner infantile, meno a rischio di contagio e più facilmente manipolabile”.

[23]   Molti di questi siti sono dedicati ai bambini e ad essi si rivolgono. Si veda, ad esempio, un documento presente in rete e noto come “lettera di P ai bambini” in cui si inizia affermando “in questa pagina mi rivolgo ai bambini e ai ragazzi fino ai 14 anni […] penso che negli ultimi anni abbiate sentito parecchie cose riguardo la pedofilia, dalla televisione, dai vostri professori e dai vostri genitori. / Avete sentito cose terribili su noi pedofili e molto probabilmente avete pensato che noi siamo tutti dei mostri che pensano solo a violentare i bambini. Sicuramente tra i pedofili ci sono anche tante persone cattive ma non siamo tutti così. / Però tutti quelli che vi hanno parlato della pedofilia hanno cercato di convincervi che siamo tutti degli esseri pericolosi e che se vi capita di conoscere uno di noi dovete allontanarvi immediatamente. Ma le cose non stanno come tentano di farvi credere.

      Ci sono pedofili buoni e pedofili cattivi come ci sono i buoni ed i cattivi anche tra quelli che vanno con gli uomini o con le donne. I pedofili buoni non violentano i bambini, perché amano i bambini e quindi non gli farebbero mai qualcosa che li farebbe soffrire. Ai pedofili piace fare sesso con i bambini ma questo non significa che costringerebbero un bambino a fare quelle cose anche se non vuole. / Se un pedofilo ha rispetto per i bambini, ci fa sesso solo se anche i bambini lo vogliono fare, altrimenti non lo fa e basta”.

      In merito alla facilità con cui è possibile circuire un minore, si veda il caso del giornalino “La stangata”, giornalino degli studenti del liceo scientifico “Francesco d’ Assisi”, di Roma (Cfr F.Caccia, “Torna La Stangata, puniti gli studenti”, in Corriere della Sera, 12 giugno 2007, pagina 5.

[24]   Per esempio, nel documento noto come “Lettera di P ai bambini”, è possibile leggere che “tante persone vi hanno parlato male di noi e hanno detto che vogliono proteggervi dalla violenza, ma c’è una cosa molto importante che probabilmente non vi hanno detto. / In Italia e in tanti altri paesi del mondo c’è una legge che dice che chi ha meno di 14 anni non è libero di decidere se fare sesso oppure no. Per farvi capire bene cosa significa vi faccio un esempio. Immaginate un adulto pedofilo che fa amicizia con un bambino. Questo adulto e questo bambino fanno sesso assieme. Tutti e due lo fanno perché ne hanno voglia, sono felici di farlo, si divertono e nessuno dei due costringe l’altro a fare qualcosa che non vuole. Se qualcuno viene a sapere che l’adulto e il bambino fanno sesso e lo va a dire alla polizia, l’adulto finisce in prigione. Questo vi potrà sembrare strano perché se il bambino era d’accordo nel fare sesso, l’adulto non avrebbe commesso nessuna violenza verso il bambino. Ma purtroppo la legge dice che se un adulto fa sesso con una ragazzo o una ragazza che ha meno di 14 anni, è come se gli avesse fatto violenza, anche se in realtà hanno fatto sesso perché lo volevano tutti e due”

[25]   A tale proposito, si veda quanto affermato nel sito ufficiale della Danish Pedophile Association, con un’intera sezione in lingua italiana, oppure nell’italianissimo “sito di P”, o, ancora, nel libro di Luther Blisset, “Lasciate che i bimbi” o in W. Andraghetti, Diario di un pedofilo…, op. cit.

      Per esempio, nella citata “Lettera di P” si spiega che “…quell’adulto viene processato e anche se il bambino dice che l’adulto non lo ha costretto a fare sesso ma lo hanno fatto perché lo volevano entrambi, l’adulto viene messo in prigione. Il bambino può anche giurare che si è divertito a fare sesso, può urlare, mettersi a piangere e chiedere in ginocchio di lasciare in pace il suo amico adulto, ma i giudici non gli daranno mai ascolto perché secondo loro, chi ha meno di 14 anni non deve essere libero di decidere se fare sesso o no”. In altri siti (Cfr. Danish Pedophile Association) si va oltre ed alla domanda “Cosa accade quando viene scoperta una relazione illegale?” si risponde in maniera tale da indurre il bambino a non rivelare nulla. Nella prima parte della risposta, molto simile a quella di P, si descrive con toni foschi l’arresto del pedofilo: “Quando una terza parte ha il sospetto che stia avvenendo dell’attività sessuale illegale tra un adulto e un bambino, può accadere che denunci il fatto alle autorità credendo che tale attività non sia gradita al bambino o gli causi danni. E così si mette in moto il polverone: il pedofilo viene arrestato e la sua casa perquisita allo scopo di trovare fotografie, lettere, diari od altri indizi che possano confermare il sospetto. Nella seconda parte si fa direttamente leva sui timori del bambino (in particolare paura dell’abbandono, del senso di colpa e di essere lasciato solo: “Il bambino, i suoi genitori ed amici vengono interrogati e chiamati a testimoniare in tribunale (certi pedofili dimenticano di pensare a quanto problematica possa essere una tale situazione prima che sia troppo tardi). In una simile evenienza il bambino ha urgente bisogno di parlare con qualcuno che ne comprenda i sentimenti, ma una tale comprensione probabilmente non la troverà: il bambino non ha la possibilità di parlare col pedofilo, i genitori reagiscono istericamente, ed allora l’unica persona con cui avrà modo di parlare è un benevolo psicologo che non gli saprà dire altro che parole ostili nei confronti di quell’adulto che magari era il suo miglior amico”.

      In particolare nelle conclusioni si afferma “Al che il bambino si sentirà in colpa per quanto causato al suo miglior amico e proverà vergogna nel vedere i suoi segreti più intimi sbandierati ai quattro venti da una stampa insensibile e sensazionalistica. Per quanto riguarda il pedofilo, ovviamente finirà in galera, magari perdendo il proprio lavoro dopo essere stato abbandonato da famiglia ed amici”.

[26]   Cfr. J.P. Bonnetaud, “Critique de l’argumentation pédophiliques”, in Evol. Psychiat., vol. 63, n. 1-2, p. 83-102, 1998.

[27]   Non mancano, infatti, i proclami volti a difendere il “diritto” (sic) dei bambini ad avere rapporti sessuali con adulti. Nella “Lettera di P” è possibile leggere: “Voi bambini dovete essere liberi di scegliere se fare sesso o no ma gli adulti non vi vogliono dare questa libertà perché credono che i bambini siano degli stupidi incapaci di decidere da soli. Io sono un adulto ma non la penso come gli altri della mia età perché amo i bambini e rispetto le loro opinioni mentre la maggior parte dei grandi dicono di voler bene ai bambini ma in realtà non hanno assolutamente rispetto per loro e ogni volta che voi bambini cercate di dire qualcosa che non gli sta bene, vi zittiscono e dicono che non capite nulla. / Tutto questo deve finire perciò dovete darvi da fare anche voi per cambiare la situazione”.

[28]   Cfr. C. Roccia, C. Foti, Pedofilia: dal bambino abusato all’adulto perverso, Unicopli, Milano, 1994

[29]   Si pensi alle “opere” fotografiche di David Hamilton, ovvero a film come “Pretty baby” di Luis Malle o “Maladolescenza” di Pier Guiseppe Murgia (1977).

[30]   Tra di loro troviamo la più grande e sordida differenziazione delle numerose perversioni esistenti: biancheria intima infantile, orge tra bambini, con ogni variante gay e lesbo, gambe e piedi dei bambini, foto di neonati e bambini con il pannolino, sadici in tutte le varianti (fino ad arrivare alle foto e ai video di punizione corporale “a sangue”, con richieste spasmodiche di foto di tortura) e, infine, gli  estremi (come definire l’estremo in un estremo?), ossia quelli che nella differenziata gamma della perversione necrofila cercano (e purtroppo trovano) foto e video di bimbi morti, magari di morte violenta, meglio se nudi e con sequenze di dettaglio, per arrivare alle richieste di video veri che mostrino la morte vera e procurata di un bambino (cosiddetti snuff movie).

[31]   Criticando le ossessive campagne di stampa Pomante (G. Pomante, Internet…, cit. p. 221) osserva che non “viene mai citato l’aspetto più inquietante: la reale diffusione della devianza tra la gente comune”.

[32]   In tal senso si veda M. Strano, Analisi criminologica…, op. cit., p. 117, secondo cui “per molti dei soggetti denunciati [in seguito ad indagini sulla pedofilia on line ndA] è stata acquisita prova certa di un coinvolgimento sessuale diretto con minori e, in alcuni casi, anche della gestione di veri e propri traffici di prostituzione minorile”.

[33]   In tal senso si veda anche M. Strano, Computer…, cit., p. 204ss.; F. Boezio, M. D’Alessio, “Internet e responsabilità penali”, in Internet e responsabilità giuridiche, a cura di G. Vaciago, La Tribuna, 2002, p. 282s; G. Pomante, Internet e…, cit., p. 221s.

[34]   Secondo la Guardia di Finanza, tra i pedofili telematici starebbe tornando in auge la primitiva forma di Internet: singole BBS scollegate dalla Rete ed accessibili soltanto tramite chiamate ad un numero telefonico, sulla base del modello di FIDONET (AA.VV., Il commercio elettronico, a cura di Guardia di Finanza, Nucleo Regionale Polizia Tributaria, Milano, 2000, p. 563).

[35]   Firmata il 20 novembre 1989 a New York e ratificata dall’Italia con la legge 27 maggio 1991, n. 176.

[36]   Si fa qui riferimento al noto affaire Dutroux, altresì noto come scandalo di Marcinelle, che costò la vita a due bambine (Julie e Melissa) lasciate morire di fame dal pedofilo belga Marc Dutroux. Tale, tragico, episodio di cronaca innescò una serie di indagini che, nell’agosto del 1996, portarono alla scoperta di una ramificatissima rete europea di pedofili e destò allarme e stupore.

[37]   In tal senso si veda C. Sarzana di Sant’Ippolito, “Le caratteristiche della criminalità informatica: profili nazionali ed internazionali, in Per Aspera ad Veritatem, n. 12, 1998, disponibile anche in sisde.it, secondo cui, prima dell’entrata in vigore della lex 269 del 1998 l’unica strada per combattere la pedo pornografia era il ricorso all’articolo 528 c.p. “…in proposito, occorre fare giustizia di opinioni frettolose espresse da pur qualificati esponenti della Magistratura inquirente secondo i quali i PM avrebbero le mani legate giacché non sarebbe possibile giuridicamente intercettare i flussi di comunicazioni telematiche di tipo pedofilo in quanto l’unica disposizione applicabile in proposito sarebbe quella prevista dall’art. 528 c.p. (pubblicazioni e spettacoli osceni) che prevede la sanzione della reclusione da tre mesi a tre anni e della multa non inferiore a lire 200.000: questo livello di pena non consentirebbe la possibilità di autorizzare le intercettazioni…”.

[38]   Si tratta della legge 3 agosto 1998, n. 269 (in Gazz. Uff., 10 agosto, n. 185). – Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù.

[39]   In tal senso si veda M. Strano, Computer…, cit., p. 268 secondo cui “questa legge sembra rivestire soprattutto un ruolo demagogico” e “non spiega poi chiaramente che cosa si intenda per pornografia e si avvale di termini troppo generici”. Del medesimo avviso è anche G. Livraghi, “Dalla parte dell’inquisitore”, in interlex.it, 2000, il quale suggerisce al legislatore “…di organizzare i necessari interventi non in un generico e indistinto pastone emozionale o con occasionali “giri di vite” ma con operazioni metodiche, continue nel tempo, e ognuna mirata su una specifica patologia”. Si veda poi G. Buonomo, Le responsabilità…, cit., p. 348. Nello stesso senso l’intervento (in sede di discussione generale della Commissione Speciale in materia di infanzia, in data 30 Luglio 1998, 25° Seduta) del senatore Callegaro che, pur preannunciando il voto favorevole del Gruppo CCD sul disegno di legge, fece rilevare che si era proceduto a legiferare sotto la spinta dell’emotività e della fretta. Il Senatore concludeva sottolineando che, pur esprimendo voto favorevole per puro senso di responsabilità, non nascondeva l’amarezza per un testo che avrebbe potuto sicuramente essere migliorato.

[40]   Legge 6 febbraio 2006, n. 38, “Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 38 del 15 febbraio 2006.

[41]   Si pensi alla difficoltà di definire in maniera certa che cosa sia “pornografia infantile” e “sfruttamento sessuale”.

[42]   Tale errore è stato corretto con la legge 38 del 6 febbraio 2006, che (all’articolo 2, comma 1, lettera a) ha modificato il comma in questione, sostituendo il verbo “sfruttare” con il più corretto “utilizzare”. In merito al significa da attribuire al termine “utilizza” si veda Cass.pen., sez. III, 05 /06/2007, n. 27252, in Guida al diritto, 2007, 34, 55 (s.m.) “La realizzazione della videoripresa di un rapporto sessuale, non limitata a un utilizzo privato, ma destinata a una diffusione suscettibile di interessare un numero indeterminato di soggetti integra il delitto di cui all’art. 600 ter c.p. laddove coinvolti nella ripresa siano soggetti minori d’età. In particolare trasmettere una videoripresa di contenuto pornografico a più persone attraverso il telefono cellulare potenzia il carattere diffusivo della trasmissione, facilmente moltiplicabile da ciascun soggetto destinatario. Il delitto deve ritenersi integrato anche nell’ipotesi in cui soggetto attivo della condotta criminosa sia a sua volta un minore di età” e in Cass. Pen. 2008, 7-8, 2889 “Ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 600 ter comma 1 c.p., il concetto di “utilizzazione” comporta la degradazione del minore ad oggetto di manipolazioni, non assumendo valore esimente il relativo consenso, mentre le nozioni di “produzione” e di “esibizione” richiedono l’inserimento della condotta in un contesto di organizzazione almeno embrionale e di destinazione, anche potenziale, del materiale pornografico alla successiva fruizione da parte di terzi”.

[43]   Più precisamente si veda Cass. pen., Sez. III, 03/12/1999, n. 3903, in Diritto e Giustizia, 2000, f. 20, p. 9, nota di Dosi, in cui la Corte ha ritenuto di rimettere la questione alle Sezioni Unite “non per un contrasto di giurisprudenza, ma per la particolare importanza e delicatezza della questione, l’interpretazione della disposizione dell’art. 600 ter c.p., introdotto nel codice dall’art. 2.1 l. n. 269 del 1998, che riguarda, in particolare, il comportamento di chi “sfrutta” minori al fine di realizzare esibizioni pornografiche, o di produrre materiale pornografico. L’ordinanza rileva come la norma possa essere interpretata sia nel senso che il legislatore abbia ritenuto essenziale – per la configurabilità dell’illecito – lo scopo di lucro dell’agente (come farebbe pensare il termine “sfrutta”) e l’esistenza di una, pur rudimentale, organizzazione operante con abitualità e con impiego di più minori, sia nel senso, per il quale la sezione rimettente mostra propendere, che i comportamenti illeciti possano avere finalità diverse da quella di lucro e possano riguardare anche un solo minore. Per questa seconda interpretazione militerebbero gli argomenti secondo cui: il bene tutelato dalla normativa antipedofilia sarebbe quello della dignità della persona umana e in particolare di quella del minore; il reato di sfruttamento della prostituzione minorile (a scopo di lucro) sarebbe già previsto dall’art. 600 bis c.p.; il concetto di pornografia minorile comprenderebbe anche finalità diverse da quelle di lucro, tanto che la norma punisce anche la cessione gratuita di materiale pornografico, il che consentirebbe di porre l’accento della disposizione sull’impiego di minori e non sul loro sfruttamento”.

[44]   Si tratta di Cassazione penale, Sezioni Unite, 31 maggio 2000, n. 13. XY era stato indagato per i seguenti reati: a) artt. 81 cpv., 609 bis e 609 ter n. 1 c.p. (perché, con abuso dell’autorità di insegnante di sostegno, aveva costretto un minore di anni tredici a subire atti sessuali e a compiere atti sessuali sulla sua persona); b) artt. 600 ter, comma 1, e 600 sexies, commi 1 e 2, c.p. (perché aveva sfruttato il predetto minorenne al fine di realizzare e produrre materiale pornografico).

[45]   In particolare il Tribunale del riesame concedeva all’imputato gli arresti domiciliari.

[46]   Con il termine esibizione deve intendersi la realizzazione di uno “spettacolo” dal vivo, dinanzi ad un pubblico, mentre per “materiale pornografico” vanno intesi giornali, fotografie, riviste, video ed anche reperti biologici, se intesi come forma di depravazione sessuale. In tal senso si veda S. Frattolin, La responsabilità dei providers per contenuti pornografici a danno dei minori in rete, in Diritto delle nuove tecnologie informatiche e dell’internet, a cura di G. Cassano, IPSOA, 2002, P. 1447. Si veda, inoltre, Cass.pen., sez. III, 12/12/2008, n. 10068, “in tema di pornografia minorile, la partecipazione di un minore come mero spettatore di esibizioni pornografiche poste in essere in luogo pubblico o aperto al pubblico, integra il delitto di cui all’art. 600 ter, comma primo, cod. pen., in quanto il coinvolgimento del minore in un’esibizione pornografica cui assistono terze persone è causa di degradazione della sua personalità. Annulla con rinvio, Trib. lib. Genova, 1 Agosto 2008”.

[47]   E’ stato osservato che l’uso del verbo “sfruttare” sembrerebbe, in effetti, lasciar intendere che il soggetto attivo debba porre in essere una condotta non episodica, ma l’orientamento prevalente (M.Rondo, S.Ardizzone, Codice penale ipertestuale, UTET, 2006) sembrerebbe essere diverso. A tal proposito si veda in giurisprudenza Tribunale di Chieti, 08/10/2006, in  PQM, 2007, 1, 94, “nel reato di pornografia minorile di cui al comma 1 dell’art. 600 ter c.p., lo sfruttamento dei minori consiste nell’impiegare questi ultimi come mezzo, anziché rispettarli come valore in sé, così ledendo la loro libertà e configurando in tal modo un evento di danno, che richiede una condotta di approfittamento del soggetto debole, sorretta dal dolo specifico della finalità di produrre materiale pornografico, indipendentemente dal fine di lucro e dal pericolo di diffusione del materiale pornografico; attività, quest’ultima, autonomamente sanzionata dalle ulteriori previsioni del predetto articolo” e Tribunale di Chieti, 08/11/2006, n.803, in Cass. Pen. 2007, 3, 1257 “Per la configurabilità del reato di pornografia minorile ed in particolare dell’ipotesi di produzione di materiale pornografico prevista dal comma 1 dell’art. 600-ter c.p., non è sufficiente che il materiale sia realizzato mediante il mero impiego di minori, essendo richiesta una condotta di sfruttamento da interpretarsi quale approfittamento (fisico, morale, mediante indebita induzione o incitamento) del minore. Il reato non può ritenersi sussistente in presenza di un consenso libero e consapevole da parte del soggetto il quale, ancorché minorenne, sia riconosciuto dall’ordinamento penale idoneo a disporre della propria libertà sessuale”; Tribunale di Milano, 21/12/2006, in Corriere del merito, 2007, 3, 338 “Il delitto di cui all’art. 600 ter comma 1 c.p. deve ritenersi integrato ogni qualvolta il minore sia utilizzato per la produzione di materiale pedopornografico, così mettendo in pericolo il suo armonioso sviluppo psico-sessuale, indipendentemente dalla sussistenza o meno di un pericolo di diffusione del materiale in tal modo realizzato”.

[48]   A tale proposito le Sezioni Unite osservano che il criterio semantico non sembra correttamente applicato, anzitutto perché “sfruttare” nel linguaggio comune è sinonimo di “trarre frutto o utile” in genere, non necessariamente utile di tipo economico; e in secondo luogo perché, laddove la nozione di sfruttamento minorile è usata nello stesso contesto semantico (commi primo e quarto dell’art. 600 ter, per indicare il materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento di minori), in un caso (quarto comma) la nozione di sfruttamento è qualificata dall’aggettivo sessuale, sicché tale qualifica appare esplicativa, e non alternativa, rispetto alla nozione generica di sfruttamento usata nel primo caso (comma primo). / Se ne deve concludere che nell’art. 600 ter c.p. il legislatore ha adottato il termine “sfruttare” nel significato di utilizzare a qualsiasi fine (non necessariamente di lucro), sicché sfruttare i minori vuol dire impiegarli come mezzo, anziché rispettarli come fine e come valore in sé: significa insomma offendere la loro personalità, soprattutto nell’aspetto sessuale, che è tanto più fragile e bisognosa di tutela quanto ancora in formazione e non ancora strutturata. Conf. Cass.pen., sez.III, 24/06/2003, n. 46290, è configurabile il reato di cui all’art. 600 ter, comma 1 c.p. (sfruttamento di minori degli anni 18 al fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico), qualora, pur in assenza di una comprovata finalità di utilizzazione commerciale del materiale prodotto dall’agente, sussista tuttavia il concreto pericolo di diffusione di detto materiale. (Nella specie la Corte ha ritenuto che la sussistenza di tale pericolo fosse stata correttamente affermata dal giudice di merito, essendo stato accertato che l’agente, dopo aver realizzato immagini pornografiche di rapporti avuti con persona minorenne, le aveva inserite nel proprio computer, mediante il quale era in contatto con altri soggetti dediti alla negoziazione di materiale pornografico, essendo inoltre in possesso di sofisticate strumentazioni elettroniche ed informatiche per la duplicazione e “masterizzazione” di filmati).

[49]   Cfr. artt 609 quater e 609 quinquies c.p., come modificati dalla legge 66 del 1996.

[50]   Del resto, che di tale natura fosse la intentio legis è palesato dallo stesso art. 1 della legge 269, laddove si proclama come obiettivo primario “la tutela dei fanciulli contro ogni forma di sfruttamento e violenza sessuale a salvaguardia del loro sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e sociale”. Il tutto in adesione ai principi della Convenzione sui Diritti del Fanciullo, sottoscritta a New York il 20/11/1989, e ratificata in Italia con legge 27/5/1991 n. 176, nonché alla dichiarazione finale della Conferenza mondiale di Stoccolma, adottata il 31/8/1996. Significativo al riguardo è il preambolo della predetta Convenzione, laddove si sottolinea la necessità di prestare al fanciullo protezioni e cure particolari “a causa della sua mancanza di maturità fisica ed intellettuale”; nonché soprattutto il testo dell’art. 34 della stessa Convenzione, secondo cui gli Stati parti “si impegnano a proteggere il fanciullo contro ogni forma di sfruttamento sessuale e di violenza sessuale”, adottando in particolare misure destinate ad “impedire che i fanciulli a) siano incitati o costretti a dedicarsi ad un’attività sessuale illegale; b) siano sfruttati a fini di prostituzione o di altre pratiche sessuali illegali; e) siano sfruttati ai fini della produzione di spettacoli o di materiale a carattere pornografico”. In tal senso si veda Cass. pen., Sez. Un., 31/05/2000.

[51]   In tal senso si veda Tribunale per i Minorenni di Perugia, 31/12/2003, in , 2004, 1168 “Non sono ravvisabili i delitti di pornografia minorile e di pubblicazione o spettacolo osceni – rispettivamente ex art. 600 ter comma 1 e art. 528 comma 1 c.p. – a carico del minorenne che col consenso della compagna, minore degli anni diciotto, registri con videocamera i loro amplessi sessuali, all’esclusivo scopo di rafforzare il reciproco legame visionando il tutto tra loro due per poi cancellarlo, ancorché il filmato sia stato poi tradotto in un cd-Rom diffuso dall’imputato tra i conoscenti di lui e di lei, per diffamare e minacciare l’ex compagna vendicandosi per aver ella interrotto la relazione” Cass.pen., sez.III, 21/01/2005, n. 5774 in Cass. Pen. 2006, 5, 1820, “Poiché il delitto di pornografia minorile di cui al comma 1 dell’art. 600 ter c.p. – mediante il quale l’ordinamento appresta una tutela penale anticipata della libertà sessuale del minore, reprimendo quei comportamenti prodromici che, anche se non necessariamente a fine di lucro, ne mettono a repentaglio il libero sviluppo personale con la mercificazione del suo corpo e l’immissione nel circuito perverso della pedofilia – ha natura di reato di pericolo concreto, la condotta di chi impieghi uno o più minori per produrre spettacoli e materiali pornografici è punibile, salvo l’ipotizzabilità di altri reati, quando abbia una consistenza tale da implicare concreto pericolo di diffusione del materiale prodotto. (Nel caso di specie la Corte ha ritenuto congrua la motivazione del giudice di merito il quale aveva dato atto, oltre che dell’imponente apparato informatico e dell’ingente materiale pedopornografico rinvenuto nella disponibilità dell’imputato, del fatto che lo stesso aveva effettuato con una macchina digitale numerose riprese fotografiche delle parti intime di una bimba, alla quale era stato celato il volto, foto che erano state scaricate nell’hard disk del computer in vista dell’uso diffusivo delle immagini pornografiche)”.

[52]   Nel caso che aveva dato origine alla decisione le Sezioni Unite ritenevano che non ricorresse alcun indizio da cui potersi desumere un pericolo concreto di diffusione del materiale pornografico realizzato dall’imputato. Anzi, venivano positivamente valutati indizi di un uso puramente “affettivo” (anche se perverso) delle poche fotografie che ritraevano il minorenne: lo scarso numero delle foto e il loro riferimento a un solo minore, ma anche e soprattutto la circostanza che lo stesso minore avesse dichiarato di aver consentito a essere fotografato e che l’imputato era molto “geloso” delle foto scattategli e che verosimilmente non le avesse mostrate ad altre persone.

[53]   In exemplum la foto di un bambino nudo su una spiaggia, mentre fa il bagno o durante il cambio del pannolino se rinvenuta in casa dei genitori non è oscena, né potrebbe dar luogo a sanzioni in quanto perfettamente legittima, ma come valutare una raccolta sistematica di simili immagini, anche riferite a differenti soggetti? Si tratta di un indice evidente di un utilizzo delle stesse a fini sessuali.

[54]   In tal senso si veda Cass. Pen., sez. III, 22/04/2004, n. 25464, in Cass. Pen. 2004, 3577 “la natura pornografica della rappresentazione di minori, in pose che se lasciano scoperti integralmente o parzialmente gli organi sessuali, al fine di distinguerla dal materiale di natura diversa (pubblicazioni pubblicitarie, reportages giornalistici), deve essere individuata in base all’accertamento della destinazione della rappresentazione ad eccitare la sessualità altrui e dalla idoneità a detto scopo. Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 600 ter c.p., quindi, è rilevante la valutazione della natura erotica delle pose e dei movimenti del minore” in D&G – Dir. e giust. 2004, 25, 24 “La rappresentazione di minori in pose che ne mostrino integralmente o parzialmente gli organi sessuali integra gli estremi del reato di cui all’art. 600 ter c.p., tutte le volte in cui essa sia destinata ad eccitare la sessualità altrui, e risulti concretamente idonea a tale scopo”. Si veda anche Tribunale di Chieti 08/11/2006 n. 803, in Cass. Pen. 2007, 3,1257 “Hanno natura pornografica le immagini ritraenti persone – integralmente o parzialmente nude – che siano espressione di concupiscenza sessuale, non essendo necessaria la rappresentazione di rapporti sessuali in senso stretto. Le immagini pornografiche vanno distinte dalle foto di “nudo artistico”, nelle quali l’oggetto dell’immagine è il corpo umano, considerato nella sua essenza, e non quale mera espressione di istinti sessuali”; Tribunale di La Spezia, sez. riesame, 19/09/2008, in Giur. Merito, 2009, 1, 222 “Non possono considerarsi pedopornografiche le fotografie scattate in luogo pubblico ad una bambina in mutande, non essendovi alcuna esposizione di organi sessuali e non essendo descritti atteggiamenti tali da stimolare la libido sessuale”.

[55]   Numerosi sono i siti che raccolgono foto di bambini sull’altalena, che giocano, che si allacciano le scarpe, spezzoni di  film in cui è possibile intravedere un bambino nudo o svestito o scene di maltrattamenti. Queste immagini, perfettamente lecite se prese una per una, una volta raccolte e catalogate all’interno di una, o più, pagine web “a tema” assumono, ictu oculi, tutt’altro significato, molto più inquietante e chiaramente finalizzato a soddisfare precisi istinti di natura sessuale da parte dei fruitori. A ciò si aggiunga che questi ultimi sono spesso disposti a pagare per ottenere l’abbonamento al sito in questione e poter, quindi, accedere al suddetto materiale!

[56]   La reclusione da 6 a 12 anni e la multa da euro 25.822 a euro 258.228.

[57]   [III]. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al primo e al secondo comma, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza il materiale pornografico di cui al primo comma, ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 2.582 euro a 51.645 euro.

[58]   In tal senso D. Minotti, I reati commessi…, cit., p. 473; S. Frattolin, La responsabilità…, cit., p. 1447s.; G. Buonomo, Le responsabilità…, cit., p. 348; M. Cammarata, ““Chiunque distribuisce… anche per via telematica”: i fornitori sono serviti”, in interlex.it, 1998. La storia sembrerebbe ripetersi, laddove la legge 38 del 2006 è stata titolata “Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet”.

[59]   G. Buonomo, op. ult. cit., p. 349.

[60]   In tal senso si veda D. Minotti, I reati commessi…, cit., p. 473.

[61]   In tal senso l’On. S. Semenzato, che, nella relazione al DISEGNO DI LEGGE n. 3733 (1999), a proposito del terzo comma osserva: “…sia nel comma seguente a quello citato, quando si parla di “cessione” di materiale pornografico, sia all’art. 4 [art. 600-quater NdA] quando si parla di “detenzione” di materiale pornografico viene utilizzato l’aggettivo “consapevolmente” al fine di sottolineare il carattere del dolo, tipico di ogni fattispecie penale. Il testo perciò precisa che “chiunque consapevolmente cede” e “che chiunque consapevolmente si procura o dispone”. / Nel punto in questione invece l’aggettivo “consapevolmente” viene omesso determinando così una sorta di responsabilità oggettiva di coloro che – anche inconsapevolmente – distribuiscono il materiale pornografico. / La comparazione tra i commi e una interpretazione letterale del testo porta così ad ipotizzare il reato – nei confronti dei gestori di sistemi telematici, Internet nello specifico, ma anche nei confronti dei servizi postali pubblici o privati – laddove si scoprisse una distribuzione, ancorché non voluta, di materiale pornografico.

[62]   M. Cammarata, “Chiunque distribuisce…, cit.

[63]   In tal senso anche S. Frattolin, La responsabilità…, cit., p. 1447; Seminara, “La responsabilità penale degli operatori su internet”, in DII, 1998, 747, Picotti, “Fondamento e limiti della responsabilità penale dei service-providers in internet”, in DPP, 1999, 379. Il rischio deve, tuttavia, ritenersi notevolmente mitigato in seguito all’entrata in vigore del Decreto Legislativo 9 aprile 2003, n. 70, (in suppl. ord. n. 61, alla Gazz. Uff., 14 aprile, n. 87). “Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico” che, all’art. 14, espressamente regola la responsabilità dei provider. In tal senso si veda Tribunale di Milano, 18/03/2004, in Giur. Merito, 2004, 1713 “i proprietari delle infrastrutture di telecomunicazione (c.d. network providers), i fornitori di accessi (c.d. access providers) ed i fornitori di servizi (c.d. service providers), non possono ritenersi corresponsabili dei reati commessi da coloro che utilizzano i loro servizi (c.d. content providers) per mera omissione di controllo, in quanto, da una parte, non hanno un obbligo giuridico di evitare l’evento, e dall’altro, per la struttura stessa della rete, non hanno la possibilità concreta di esercitare un efficace controllo sui messaggi ospitati sul proprio sito”.

[64]   Art. 600-ter, 4 comma: “Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo, consapevolmente cede al altri, anche a titolo gratuito, materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione fino a tre anni o con la multa da 1.549 euro a 5.164 euro”.

[65]   Cass. pen., Sez. III, 27/04/2000, n. 1762 in Cass. Pen., 2002, 1041.

[66]   Cass. pen., Sez. III, 14/07/2000, n. 2842 in Cass. Pen., 2001, 3432

[67]   Cass. pen., Sez. III, 14/07/2000, n. 2842 cit. “Il riferimento alla condotta di pubblicizzazione si estende a tutte le possibili forme di diffusione di una informazione nei confronti di una pluralità o generalità di destinatari”; conf. “Rientrano nella fattispecie di cui all’art. 600 ter c.p.: a) il commercio di materiale pornografico inerente i minori che richiede la predisposizione di un’attività di impresa, con adeguati strumenti di distribuzione, nella prospettiva di una offerta del prodotto destinata a durare nel tempo; b) la distribuzione, che si configura come forma particolare di commercializzazione, la quale deve ritenersi integrata dalla diffusione fisica del materiale mediante l’invio ad un novero, definito o meno, di destinatari; c) la divulgazione e pubblicazione, le quali richiedono sia che la condotta sia destinata a raggiungere una serie indeterminata di persone, con cui l’agente ha stabilito un rapporto di comunicazione, sia un mezzo di diffusione accessibile ad una pluralità di comunicazione, sia un mezzo di diffusione accessibile ad una pluralità di soggetti. La cessione occasionale, singolarmente effettuata (ex comma 4), del materiale è fattispecie per sua natura sussidiaria rispetto a quelle previste nei commi precedenti dello stesso art. 600 ter c.p., che non può trovare applicazione quando sussistano gli elementi per la operatività degli stessi. (Conseguentemente la Corte ha ritenuto che integrasse il reato di cui all’art. 600 ter comma 3 c.p. l’aver veicolato fotografie oscene di minori attraverso la rete Internet)” Cass. pen., Sez. III, 13/06/2000, n. 2421 in Cass. Pen., 2002, 1041.

[68]   Cass. pen., Sez. III, 03/12/2001, n. 3348 in Studium juris, 2002, p. 801. Si veda anche Cass.pen., sez. III, 05/02/2009, n. 24788, in Diritto & Giustizia, 2009 “Ricorre l’ipotesi di diffusione di materiale pedopornografico anche in presenza di un numero esiguo di destinatari (nella specie, la Corte ha ritenuto che le circostanze di individuazione dell’imputato da parte della Polizia Postale evidenziavano a suo sfavore l’esistenza di una fitta rete di collegamenti e la disponibilità di materiale e cartelle condivise accessibili a terzi. Le evidenze processuali, infatti, escludevano che il materiale fosse scambiato in un semplice rapporto “a due” e vi era, dunque, integrazione dell’elemento della “divulgazione”, che consiste proprio nel fatto di chi “rende noto a tutti” in maniera più generalizzata)”.

[69]   Cass. pen., Sez. III, 03/12/2001, n. 5397 in Riv. Pen., 2002, p. 333. Sul carattere residuale dell’ultimo comma dell’art. 600-ter si veda Trib. Torino, 02/04/2001 in Giur. di Merito, 2001, p. 1064, secondo cui “l’art. 600 ter comma 4 c.p., delinea una fattispecie residuale in cui trovano collocazione tutte le altre condotte di cessione, siano esse a titolo gratuito che oneroso, di materiale pornografico realizzato con lo sfruttamento sessuale di minori, che non rientrino nelle fattispecie di cui ai commi precedenti, cioè ai soli casi di cessione occasionale o sporadica, anche a titolo oneroso, attuata in favore di singoli e ben determinati soggetti, che non si inseriscano in una vera e propria attività di commercio o di indiscriminata diffusione a terzi, come la distribuzione, divulgazione o pubblicizzazione (nella specie, il tribunale ha escluso che la condotta materiale dell’indagato, consistente nello scambio per posta di materiale pedopornografico, fosse qualificabile come commercio, per l’assenza di un dimostrato fine di lucro, e ha proceduto alla riqualificazione della condotta nel reato di distribuzione di materiale pedopornografico di cui all’art. 600 ter comma 3 c.p., rilevando che si trattava di una ampia, continuativa attività di scambio e cessione, e quindi di diffusione, di tale materiale, attuata previa offerta effettuata per mezzo di annunci pubblicati su un giornale internazionale, in favore dei diversi soggetti che ne facevano richiesta, ciò desumendo da diversi indici significativi, quali la continuità nell’attività di acquisto e cessione, l’offerta ad un numero indistinto di soggetti di diversa nazionalità, la pluralità dei destinatari del materiale, l’esistenza di una, seppur minima, predisposizione di mezzi – quali, oltre alle inserzioni sul giornale internazionale, l’attivazione di un’apposita casella postale per gestire riservatamente il materiale pornografico oggetto di transazione – le qualità soggettive dell’indagato, già coinvolto in passato in un traffico di videocassette pedopornografiche)”

[70]   In tal senso D. Minotti, I reati…, cit., p. 474 che osserva, invero correttamente, che “la chat, cui può partecipare un’indefinita pluralità di utenti, è soltanto un luogo di discussione tra più persone ove, però, l’eventuale scambio di file avviene in modo mirato, non indistinto, sempre e comunque verso soggetti determinati scelti dal mittente”. Favorevoli alla tesi della Cassazione sembrano, invece, F. Boezio, M. D’Alessio, Internet e responsabilità…, cit., p. 286s.

      La Corte ha, invece, stabilito che “integra gli estremi del delitto di divulgazione di materiale pornografico, ai sensi dell’art. 600 ter comma 3 c.p., e non di cessione del medesimo, ai sensi dell’art. 600 ter comma 4, c.p., il comportamento di chi per via telematica, attraverso un programma di “chat”, diffonde fotografie pornografiche aventi ad oggetto minori” Cass. pen., Sez. III, 27/04/2000, n. 1762 in Foro It., 2000, II, p. 685. Conf. Cass. pen., Sez. III, 14/07/2000, n. 2842 in cui, però, veniva osservato che “il dettato normativo richiede per tutte le ipotesi enunciate nel citato comma 3 la diffusione del materiale pornografico sicché, per la configurabilità del reato, non basta la cessione a singoli soggetti, ma occorre che l’agente propaghi il materiale interessando un numero indeterminato di persone, come nel caso in esame, in cui la cessione di fotografie pornografiche minorili è avvenuta in favore di più persone per via telematica attraverso una chat – line, sistema di comunicazione in tempo reale che permette agli utenti di scambiarsi messaggi e altre informazioni in formato digitale, e che é strutturato come uno spazio virtuale, suddiviso in tante stanze (canali) in cui diversi soggetti possono dialogare”. In relazione alla chat la Corte osservava che “la fase preliminare di accesso alla chat – line, prodromica allo scambio di dati o file, relativi a conversazioni, suoni, immagini, filmati, ed altro, all’interno dello stesso canale privato, riguarda la generalità degli utenti (presenti nelle medesima stanza o canale pubblico del server) interessati ad un argomento comune, sicché i successivi passaggi riguardanti l’individuazione dei partner fino allo scambio diretto delle informazioni non possono essere sganciati dalle iniziali procedure di accesso al sistema che consentono l’instaurazione di rapporti con un numero indeterminato di soggetti non previamente individuati, diversamente da quanto avviene nelle comunicazioni e – mail”.

[71]   Nella fattispecie in esame all’indagato era stato contestato di avere scambiato fotografie pedo – pornografiche, attraverso Internet, mediante il programma di chat MIRC, nel canale “fotoporno” utilizzando il nickname “Tino”. La Corte osservava che il collegamento a tale canale era comunque accessibile ad una indefinita pluralità di utenti e, successivamente, la comunicazione avveniva esclusivamente con i soggetti presenti nell’area. Si configurava, pertanto, divulgazione del materiale vietato, messo comunque a disposizione di un novero indefinito di destinatari”

[72]   Cass. pen., 03/12/2001, n. 5397, Sez. III. Si veda anche Cass. Pen., sez. III, 05/02/2009, 24788, in Guida al diritto, 2009, 37, 49 (s.m.) “ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 600 ter, comma 3, c.p. è compito del giudice di merito accertare la sussistenza del pericolo di “diffusione” del materiale pedopornografico prodotto, facendo ricorso a elementi sintomatici della condotta, quali l’esistenza di una struttura organizzativa anche rudimentale atta a corrispondere alle esigenze di mercato dei pedofili, il collegamento dell’agente con soggetti pedofili potenziali destinatari del materiale pornografico, la disponibilità materiale di strumenti tecnici di riproduzione e/o trasmissione anche telematica idonei a diffondere il materiale pornografico in cerchie più o meno vaste di destinatari, l’utilizzo contemporaneo o differito nel tempo di più minori per la riproduzione di materiale pornografico. (Nella specie, la Corte ha ritenuto corretto e congruamente motivato il ragionamento del giudice di merito che, nell’escludere che il materiale fosse stato scambiato in un semplice rapporto “a due”, aveva apprezzato la sussistenza dell’elemento della “divulgazione” valorizzando in particolare la circostanza che l’imputato aveva realizzato nel proprio computer alcune cartelle condivise accessibili a terzi in cui erano collocate esplicite immagini di attività sessuali minorili, di modo che altri utenti, in possesso di software compatibile, potessero accedere attraverso la rete e così visionare e scambiare fotografie)”.

[73]   In tal senso si veda Tribunale di Bari, sez. I, 11/01/2006, in Giurisprudenzabarese.it, 2006 “Sussiste l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 600 ter comma 3 c.p. nel caso in cui sia distribuito, divulgato o pubblicizzato del materiale pedopornografico ad un numero indeterminato di destinatari, mentre la più lieve figura prevista dall’art. 600 ter comma 4 c.p. ricorre quando l’offerta sia destinata a persone determinate (fattispecie in materia di chat line)”; si veda anche Tribunale di Genova, 28/10/2005, in D&G – Dir. e giust. 2005, 45, 48 “il trasferimento via internet di una fotografia a contenuto pedopornografico, al fine di ottenere cambio immagini similari, integra gli estremi del delitto di cui all’art. 600 ter, comma 4, c.p. (cessione di materiale pedopornografico), e non già quella di cui all’art. 600 ter, comma 3, c.p. (divulgazione di materiale pedopornografico)”.

[74]   In particolare si osservava che, nella fattispecie concreata, il capo di imputazione non si limitava a contestare all’indagato di aver ceduto le foto nel corso di una discussione in un canale IRC, ma gli contesta di averle distribuite e divulgate effettuando la cessione “tramite una particolare procedura di collegamento che permette nel corso di una discussione di accedere e scambiare direttamente i documenti esistenti sul disco rigido di un interlocutore”.

[75]   Cassazione penale, sez. V, 11 dicembre 2002, n. 4900.

[76]   Si tratta dell’Ordinanza del 16-04-2002 del Tribunale della Libertà di Trieste.

[77]   Tribunale della Libertà di Trieste, 16-04-2002.

[78]   Cfr. Cass. pen., Sez. III, 03/12/2001, n. 5397; Cass. pen., Sez. III, 14/07/2000, n. 2842; Cass. pen., Sez. III, 27/04/2000, n. 1762.

[79]   “Ad integrare il numero indeterminato di persone non basta la considerazione che esso possa annidarsi in un nickname, anche a prescindere dall’onere della prova, che l’accusa non può assolvere con la mera evocazione di tale possibilità, perché altrimenti verrebbe ad ipotizzarsi il delitto in esame, piuttosto che, come ritenuto da Cass. 5397\2001, quello più lieve, di cui al quarto comma, anche nel caso dell’invio della foto, allegata ad un messaggio di posta elettronica, ad un indirizzo determinato, dietro il quale ugualmente potrebbe allocarsi una pluralità di persone” Cass. pen., sez. V, 11 dicembre 2002, n. 4900.

[80]   In tal senso G. Buonomo, Le responsabilità…, cit., p. 349. Cass. pen., sez. III, 05/03/2009, n.15927, “in tema di pornografia minorile, ai fini della configurabilità del reato di distribuzione o divulgazione di notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori di anni diciotto (art. 600 ter, comma terzo, cod. pen.), le “notizie” od “informazioni” non devono rivestire in generale né il carattere della verità nè quello della novità, ma è sufficiente che le stesse abbiano una concreta potenzialità a consentire il verificarsi di episodi di sfruttamento sessuale o adescamento di minori. (In motivazione la Corte, nell’enunciare tale principio, ha precisato che spetta al giudice valutare tale potenzialità in base alle caratteristiche dell’informazione, alla fonte, al destinatario ed all’intero contesto)”; Cass. pen., sez. un., 13 gennaio 2000 n. 13; Cass. pen. n. 2421 del 2000.

[81]   Cfr. Cass. pen., Sez. III, 03/12/2001, n. 5397, conf. Cass. pen., sez. V, 11 dicembre 2002, n. 4900; Cass. Pen., sez. III, 08/06/2006, n. 23164.

[82]   In tal senso si veda cass. Pen., sez. III, 07/11/2008, n. 11169; in Riv. pen. 2009, 6, 670 “non è configurabile il reato di cui all’art. 600 ter, comma 3, c.p. (distribuzione, divulgazione, diffusione o pubblicizzazione di materiale pedopornografico), ma soltanto quello di cui all’art. 600 quater c.p. (detenzione di materiale pedopornografico), qualora, pur essendosi l’agente procurato in via telematica dei files contenenti immagini vietate mediante il programma cd. emule (o altro similare) che ne consente, a determinate condizioni, la messa automaticamente in condivisione, non risulti che le dette condizioni si siano realizzate o fossero prevedibilmente realizzabili”; cass. pen., sez. III, 16/10/2008, n. 3194, in Riv. pen. 2009, 6, 670 “in tema di pornografia minorile, la condotta di divulgazione e diffusione nella rete Internet di materiale pornografico presuppone la consapevole detenzione del materiale stesso. (Fattispecie nella quale è stata ritenuta involontaria la divulgazione e diffusione via internet di files pedopornografici compiute automaticamente dal programma di condivisione dati installato sul computer dell’indagato, in quanto tali files erano stati rinvenuti nella memoria cache e non all’interno di una cartella)”.

[83]   Cfr cass. pen., sez. III, 05/02/2009, n. 13729, Cass. pen. n. 40036 del 2008, Cass. pen., sez. V, 19 gennaio 2004 n. 21778.

[84]   Crt. 600-quater c.p. “Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste nell’articolo 600 ter, consapevolmente si procura o detiene materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione fino a tre anni o con la multa non inferiore a 1.549 euro”.

[85]   Cfr. G. Buonomo, Le responsabilità, op. ult. cit., loc. cit.

[86]   In tal senso si è espressa anche la senatrice Magistrelli in Commissione Speciale in materia di infanzia e di minori, che, nella seduta di martedì 25 febbraio 2003 osservava come “nell’articolo 600-quater c.p., in particolare, il secondo termine (cioè chiunque … dispone …) appare equivoco perché rischia di coinvolgere, in un sistema ampio e libero quale Internet, chiunque, anche solo per errore, capiti in un sito che contenga anche solo un’immagine equivoca ovvero siti che sono spesso mascherati con titoli che rimandano a tutt’altra materia. In particolare, il termine usato dalla norma consente di far rientrare in questa ipotesi di reato anche la semplice consultazione via internet di siti pedofili senza distinzione tra chi vi accede volutamente per la fruizione del materiale pornografico minorile e chi vi sia capitato casualmente, magari perché indotto in errore”. La relatrice prosegue poi sottolineando l’importanza di definire in modo più chiaro la fattispecie di cui all’articolo 600-quater del codice penale sul concetto di detenzione e disposizione di materiale pornografico, in modo da introdurre una norma di garanzia nei confronti della infinita platea di indagati che solo incolpevolmente si sono imbattuti in un sito pedo-pornografico. In un successivo intervento il Presidente della Commissione, sollevava la questione della detenzione per finalità studio e ricerca.

[87]   Un criterio empirico, ma efficace, per discernere le due situazioni si fonda sulla quantità del materiale scaricato e sul tempo di permanenza all’interno del sito in modo da escludere tutti quei soggetti che, accortisi del contenuto, hanno abbandonato le pagine con immagini pedo pornografiche. Ancora meglio sarebbe limitare le ricerche e le verifiche a chi accede alle pagine interne dei siti a pagamento (dove la tipologia del materiale è ben chiara sin dalle home page e l’accesso per errore è praticamente impossibile).

[88]   Legge 15 febbraio 1996, n. 66 (in Gazz. Uff., 20 febbraio, n. 42). – Norme contro la violenza sessuale.

[89]   Art.609-quater c.p.

[90]   In merito a fotografie autoprodotte e non destinate alla divulgazione si veda Cass.pen., sez. III, 20/11/2007, n. 1814, in Cass. pen. 2008, 11, 4167 “il delitto previsto dall’art. 600-ter, comma 1, c.p. necessita per il perfezionamento della fattispecie che la condotta dell’agente abbia una consistenza tale da implicare il concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto. La norma mira ad impedire la visione del minore ad una cerchia indeterminata di pedofili e, di conseguenza, non configura la ipotesi di reato la produzione pornografica destinata a restare nella sfera strettamente privata dell’autore” contra Tribunale di Milano, 21/12/2006, in Corriere del merito, 2007, 3, 338 “il delitto di cui all’art. 600 ter comma 1 c.p. deve ritenersi integrato ogni qualvolta il minore sia utilizzato per la produzione di materiale pedopornografico, così mettendo in pericolo il suo armonioso sviluppo psico-sessuale, indipendentemente dalla sussistenza o meno di un pericolo di diffusione del materiale in tal modo realizzato”. In ogni caso, anche  a fronte di un’assoluzione per il reato di cui all’articolo 600-ter resterebbe l’ipotesi di cui al 600-quater in considerazione del fatto che “in tema di reati relativi alla pornografia minorile, mentre il delitto di cui all’art. 600 ter comma 1 c.p., ha natura di reato di pericolo concreto, la fattispecie di cui all’art. 600 quater c.p. (anche nella formulazione applicabile al caso di specie, anteriore a quella introdotta con la l. n. 38 del 2006), richiede la mera consapevolezza della detenzione del materiale pedo-pornografico, senza che sia necessario il pericolo della sua diffusione ed infatti tale fattispecie ha carattere sussidiario rispetto alla più grave ipotesi delittuosa della produzione di tale materiale a scopo di sfruttamento” Cass. pen., sez. III, 07/06/2006, n. 20303.

[91]   Tribunale di Chieti, 08/11/2006, n. 803, in Cass. pen. 2007, 3, 1257.

[92]   Cass.pen., sez. III, 05/06/2007, n. 27252 in Cass. pen. 2008, 7-8, 2889.

[93]   Tribunale per i minorenni di Perugia, 31/12/2003, in Giur. Merito, 2004, 1168. Il procedimento in esame riguardava Tizio, rinviato a giudizio dal giudice per l’udienza preliminare presso il Tribunale per i minorenni di Perugia, con decreto del 12.2.2003, in ordine alle imputazioni di pornografia minorile, di pubblicazioni e spettacoli osceni, di diffamazione e di minaccia.

      Più precisamente Tizio era imputato: 1) del delitto di pornografia minorile (art. 600 ter c.p., comma 1) per aver sfruttato Caia, minore degli anni diciotto, al fine di realizzare esibizioni pornografiche e di produrre un CD-rom pornografico (in Perugia in data imprecisata dell’ottobre 2001); 2) del delitto di cui all’art. 528 c.p., per avere, allo scopo di farne commercio e comunque distribuito, formato, detenuto e messo in circolazione un CD-rom della durata complessiva di 32 min. e 44 sec. di contenuto osceno; 3) del delitto di cui all’art. 595 c.p. per avere offeso la reputazione della succitata Caia diffondendo il CD-rom di cui sopra (in Perugia in epoche successive all’ottobre 2001); 4) del delitto di cui all’art. 612 c.p., per aver minacciato alla medesima Caia un ingiusto danno dicendole che gliela avrebbe fatta pagare (in Perugia in data imprecisata del mese di gennaio 2002).

      Celebratosi il dibattimento, il Tribunale per i minorenni dell’Umbria – Perugia – con sentenza del 3 dicembre 2003 – 23 gennaio 2004 assolveva Tizio dai reati di cui ai capi 1) e 2) della rubrica perché il fatto non sussiste; dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’imputato detto in ordine ai reati di cui ai capi 3) e 4) della rubrica medesima – unificati i reati stessi sotto il vincolo della continuazione e applicate le attenuanti generiche e la diminuente della minore età – essendo tali reati estinti per concessione del perdono giudiziale.

[94]   Si veda Cass. pen., sez. III, 03/12/1999, n. 3903, in D&G – Dir. e giust., 2000, 20, 9 “l’Ordinanza rileva come la norma possa essere interpretata sia nel senso che il legislatore abbia ritenuto essenziale – per la configurabilità dell’illecito – lo scopo di lucro dell’agente (come farebbe pensare il termine “sfrutta”) e l’esistenza di una, pur rudimentale, organizzazione operante con abitualità e con impiego di più minori, sia nel senso, per il quale la Sezione rimettente mostra propendere, che i comportamenti illeciti possano avere finalità diverse da quella di lucro e possano riguardare anche un solo minore”; Cass. pen., sez. III, 04/06/2004, n. 33196, in Riv. pen. 2005, 46 “il reato di cui all’art. 600 ter comma 3 c.p. ha natura necessariamente abituale; il che non esclude che l’abitualità possa manifestarsi nelle tre diverse forme di pubblicizzazione, distribuzione e divulgazione di materiale pedo pornografico, anche quando abbia ad oggetto elementi di volta in volta diversi tratti dalla vasta quantità del suddetto materiale detenuto dal reo”; Cass.pen., sez. III, 30/11/2006, n. 698, in Cass. pen., 2007, 12, 4611 “il delitto di distribuzione, divulgazione o pubblicizzazione di materiale pedo-pornografico non è un reato abituale e può concretizzarsi anche in un solo atto, e lo sfruttamento delle immagini pedopornografiche consiste non solo in un utile economico, ma in un qualunque vantaggio. (Nel caso di specie la S.C. ha ritenuto che integrasse il delitto l’aver riversato in un CD-rom, distribuito all’interno di una scuola, un filmato pornografico relativo ad una ragazza minorenne, sfruttando le immagini della stessa al fine di diffamarla, in quanto aveva posto fine ad una relazione sentimentale con esso imputato)”.

[95]   Nella fattispecie concreta gli elementi sintomatici della condotta (pubblicizzazione e messa in circolazione del video-filmato, con suo inserimento in internet e conseguente diffusione a livello internazionale dello stesso) venivano ritenuti idonei a diffondere il materiale pornografico in vaste cerchie destinatari. E’ evidente che, una volta accertata la condotta prefigurata dalla norma incriminatrice, il delitto deve ritenersi configurabile, oggettivamente e soggettivamente, non potendosi dubitare che l’imputato abbia agito al fine precipuo di realizzare esibizioni pornografiche e di produrre materiale pornografico.

[96]   Cass.pen., sez. III, 30/11/2006, n. 698

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